Il 10 gennaio 2018, dopo una lunga malattia, è mancato Olek Sarel, che a Selvino si chiamava Alexander Czoban.
Olek Sarel era nato nel 1929 a Lvov (Leopoli in Polonia) figlio di Abraham Alfred Czoban e di Henryka Czoban, fratello di Aviva. Aveva girovagato per anni tra villaggi e foreste per sfuggire alla Shoah, poi divenne un tecnico dell’industria aeronautica israeliana.
Sua sorella Aviva, che rimase nascosta in un convento, divenne segretaria in un asilo-nido in Israele.

Qui a Selvino, qui, per la prima volta dopo la guerra, tornammo a sentire il calore umano. Per la prima volta…” così diceva Olek.

Olek Sarell-2018-01-10-luttoMiriam Bisk, per conto dell’associazione dei “Bambini di Selvino”, ha diffuso questo testo di partecipazione al lutto:
“Ogni volta che scompare un Bambino di Selvino, la Casa si svuota dei suoi abitanti originari, del suo passato e diventa orfana.
Cade un altro pezzo di muro fatiscente.
Gli applausi dei bambini si zittiscono, la preghiera si ferma.
E noi, la nuova generazione, siamo nel dolore,
Con tutta la famiglia siamo in lutto.
Ma senza dubbio, dobbiamo continuare a trarre la nostra sicurezza da chi ci ha preceduto.

Olek ha avuto alcune vite. 
E, in una di queste vite, si è preso cura di far rivivere la speranza e la cultura coltivate nella Casa di Selvino.

Olek ha chiesto ai “Bambini”, ormai bambini cresciuti, di riunire e celebrare l’indipendenza di Israele, le canzoni e le storie di quei giorni.

1983 a Selvino

1983 a Selvino

Organizzò il viaggio a Selvino nel 1983 e il gemellaggio tra Selvino e Zeelim nel 1996, e noi lo abbiamo seguito su quest strada.

E quando ha chiesto di organizzare la mostra dei Bambini di Selvino a Yad Vashem nel 2009, non si è arreso, nonostante le difficoltà incontrate.
Contro gli ostacoli che si frapponevano, in mezzo a lotte e impedimenti, con grande determinazione e ammirazione, ebbe successo.

Possiamo ascoltare ancora la sua voce e vedere le sue foto, accanto alle immagini della mostra, rappresentano la sua unicità e la santificazione della vita che ha espresso con tutto il suo coraggio.
Possa la sua memoria essere benedetta.”

Scritto in ebraico da Miriam Bisk:

 

נו נפרדים מילד סלבינו, מתרוקן הבית מדייריו המקוריים, מן העבר,
ושוב בית מיותם.

עוד פיסת קיר מתפוררת,
צהלת ילדים דוממת, תפילה נבלמת.

ואנו דור ההמשך, כואבים ,
עם המשפחה מתאבלים
אך ללא עוררין, מצווים להמשיך ולשאוב את בטחונינו מן ההולכים.

לאולק היו פרקי חיים אחדים,
ובאחד מהם דאג להחיות את התקווה והתרבות שטופחו בבית בסלבינו.
אולק דרש באוזני ה״פעוטים״ והצעירים שבנתיים התבגרו, להתכנס ולחגוג את חגיגת העצמאות בארץ, בשירים ובסיפורים בנוסח אותם הימים.

כמו גם דאג לארגן את ברית הערים התאומות לראשונה, ואשר בעיקבותיה באנו אנו.

וכאשר ביקש לארגן את תערוכת ילדי סלבינו ביד ושם, לא נכנע
למיכשולים שנערמו בפניו, ותוך מאבקים לא קלים, בנחושות רבה, המעוררת הערצה, צלחה לו המשימה.

הקול האישי שלו עדין נשמע, ומראו לצד התמונות התלויות בתערוכה, מייצגים את ייחודו וקידוש החיים אותם ביטא באומץ רוחו.
יהא זכרו ברוך


Alex Olek Sarel 1996
Alex Olek Sarel Alex Olek Sarel
Alex Olek Sarel Alex Olek Sarel

Elogio funebre per Alex Sarel letto da Tali Zeiri Amitai

Come fa una parte di un uomo che era parte integrante della casa Selvino e per me sin dalla mia nascita?

Quando mi trovo qui sopra la tua tomba, in questo silenzio, vedo nell’occhio della mia mente molte immagini di eventi a cui tu hai partecipato – sempre meticolosamente vestito, a differenza di mio padre, diritto, pratico per fare in modo che tutto funzionasse secondo il tuo piano.
Il nostro legame era iniziato prima della mia nascita, quando tu sei arrivato da Lodz con tua sorella e con un gruppo di amici che si sono ritrovati a Selvino. Ecco dove è iniziato il tuo e altrui viaggio verso una nuova vita, una vita dopo…
A Selvino tu hai imparato il valore del “fare”, della leadership e dell’assunzione di responsabilità, e questa è stata la strada che hai seguito per il resto della tua vita.
In Israele per la prima volta hai avuto un periodo di formazione nel Kibbutz Ramart Hasharon, sei stato tra i progenitori del Kibbutz Ze’elim, ti sei unito all’esercito, hai cresciuto una famiglia, hai studiato e sei diventato un grande bene per il giovane Stato di Israele.
Oltre a crescere la tua famiglia, hai lavorato nel settore aeronautico e nel settore sociale, hai avuto sempre la volontà e la forza di avviare e intrecciare gli incontri del tuo gruppo, per mantenere i contatti con l’altra tua grande famiglia – la famiglia dei Bambini Selvino e dei consiglieri che erano vicini al tuo cuore.

Tu sei stato il segretario e l’organizzatore del gruppo dei Bambini Selvino e come tale hai organizzato attività, hai piantato alberi in un bosco commemorativo vicino a Gerusalemme, hai prodotto un film, hai organizzato la famosa riunione nel 1983 di ritorno a Sciesopoli, nel paese di Selvino nelle prealpi italiane. Ormai non più bambini piccoli e timorosi sopravvissuti all’inferno della Shoah, ma orgogliosi cittadini dello Stato di Israele, che tu e gli altri Bambini di Selvino avete contribuito a costruire.
Un altro grande incontro ad Avichail nel 1984, quando nostro padre Moshe compì 70 anni. Allora hai organizzato l’incontro con questo titolo: “Questa è la tua vita”.
Un anno dopo a Masuah c’è stato un altro grande incontro per celebrare la pubblicazione del libro “Il viaggio dei bambini nella Terra Promessa” di Aharon Megged. Hai lavorato alla sua traduzione e pubblicazione in italiano e inglese. Nel 1988 hai contribuito alla produzione di un libro commemorativo “Alla loro memoria” un anno dopo la morte di nostro padre Moshe Zeiri, dedicato alla sua memoria e alla memoria degli altri scomparsi di Selvino.
Su un timbro e un ricordo più personali, tu ci hai dato un aiuto e un sostegno durante la malattia di nostro padre.
Due grandi progetti, che hanno richiesto un grande sforzo, sono stati il gemellaggio di Selvino con Ze’elim. Questo progetto è stato recentemente rinnovato dall’ONG di recente costituzione dei “Bambini di Selvino”.
Poi la grande mostra fotografica a Masuah. Questa mostra è stata esposta per molti anni ed è diventata una fonte educativa per molti bambini delle scuole superiori. Tu hai lottato per tenerla sotto gli occhi del pubblico e in effetti in seguito fu esposta a Yad Vashem in una grande cerimonia.

In quell’occasione ho detto:
“A Olek con grande apprezzamento.
Non c’è nessuno più adatto di te a contenere il simbolo di Selvino. Le ore, i giorni, i mesi e gli anni che tu hai lavorato su questo progetto non si contano, hai lavorato intorno a questa organizzazione e non ti sei mai arreso. Hai superato ogni ostacolo sempre con la sensazione di una missione per trasmettere la mostra e conservarla per le generazioni future.
Congratulazioni dalla famiglia Zeiri”.

Olek, spero che negli ultimi anni, da quando sei stato tagliato un po’ fuori dalle attività, tu abbia saputo allora e possa sapere nella vita eterna tutte le numerose attività che l’ONG dei Bambini di Selvino va organizzando.
Promettiamo di continuare sulla tua strada, di non arrenderci mai, di non temere le difficoltà e di mantenere per sempre viva la storia della tua generazione e dei Bambini di Selvino.
Per Sarah e la tua famiglia, ecco, il loro dolore è il nostro dolore.
Vogliamo conservare questi ricordi di un uomo che stava sempre ‘facendo’, vogliamo conservare i tuoi valori e la speranza con cui tu vivevi, e vogliamo attuare il memoriale più appropriato per la tua vita esemplare.

Citerò alcuni versi da una poesia:

“Se incontriamo il calore del loro cuore, spegneremo il fuoco.
Se si raffredderà il calore che sgocciola dalla loro mano – li lasceremo soli”.
(Avraham Khalfi)

“Prosegui la tua  strada, amico caro e che sia benedetta la tua memoria” (come dice una benedizione della tradizione ebraica).

Tali Zeiri Amitai


 

Dedichiamo ad Olek Sarel alcuni versi del poeta del ghetto di Varsavia, Simkha-Bunim Shayevitch:

E ora, Olek, bambino mio,
spegni la tua gioia infantile,
il fiume argento vivo della tua risata,
ora siamo pronti per la strada sconosciuta.

Non alzare i tuoi grandi occhi
verso di me così curiosamente,
e non chiedere perché e per cosa
dobbiamo lasciare la nostra casa.

E in un’ora propizia,
il miracolo della rinascita si ripete di nuovo,
e ancora una volta la primavera è qui.


Ricordiamo che un giorno di agosto del 1983 circa settanta ex Bambini di Selvino si misero in viaggio, tutti insieme, verso l’Italia, per visitare il luogo in cui avevano ritrovato la loro fanciullezza nel 1945-1948, e per inaugurare una lapide commemorativa.
Promotori dell’iniziativa erano stati due tra i primi ospiti di Selvino: Olek Sarel e Moshe Barnea (Buchko).

La figlia di Alex Czoban-Sarel, Dorit, allora diciottenne, nata a Tel Aviv, accompagnò il padre nel viaggio a Selvino dell’agosto 1983.
Trascorse quei tre giorni osservando scene emozionanti, l’incontro del padre e dei suoi amici con la loro infanzia. Sedette insieme a loro al tavolo da pranzo, e durante le celebrazioni della vigilia dello Shabbat cantò con loro, dormì in uno dei letti che essi avevano usato da bambini, girovagò per le stanze e nel cortile della casa. Interessata, curiosa e commossa, ascoltò le loro conversazioni e i loro ricordi, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, badando di non perdere neanche un incontro, una passeggiata, una cerimonia.
“Fin da bambina ero attratta dai libri sulla Shoah, sui bambini al tempo della Shoah. Li leggevo in uno stato di tensione, di curiosità e di emozione. Non saprei come spiegare questa mia passione, perché i miei genitori non mi incoraggiavano a leggere quei libri, e nessuno dei miei amici se ne interessava. Forse era il desiderio di conoscere le mie ‘radici’…
“La scuola non mi insegnò molto sotto questo aspetto. Ovviamente, nella storia ebraica, studiavamo anche la Diaspora. Ma era tutto molto astratto: antisemitismo, discriminazione, persecuzioni ecc. Dai racconti di Shalom Aleichem e altri intravedevo un quadro delli vita degli ebrei nell’Europa dell’Est, ma era come una leggenda lontana, di centinaia di anni fa, come se parlassero di un altro popolo, senza alcun rapporto con Israele. Era difficile identificarsi con gli ebrei perseguitati che vivevano tra i gentili. E poi, la Shoah … La studiavamo, certo, ma anch’essa come un altro capitolo della storia ebraica, ed era difficile rendersi conto di quanto era accaduto veramente. Non invitavano mai a scuola nessuno che l’avesse davvero vissuta, a parlarci delle sue esperienze. Il ‘giorno della Shoah’ non era nulla di speciale. Beh, sì, l’anno scorso ci portarono ad una cerimonia commemorativa nell’Auditorium Mann, ma fu una cosa vergognosa: centinaia di diciassettenni di tutte le scuole di Tel Aviv, un gran baccano, risate, scherzi …
“Andai a Selvino. Non fu mio padre a chiedermi di andarci. Fu una mia iniziativa. E là… insomma, per la prima volta, vissi realmente la Shoah. Rimasi profondamente commossa, sopraffatta dall’emozione. Tante volte dovetti ricacciare indietro le lacrime. Ciò che era accaduto a quelle persone quando erano bambini, prima di Selvino, poi a Selvino, divenne reale, vicino.
“Riuscii a capire? Non ne sono sicura. No, certe cose non si possono capire. Dove trovarono la forza? Quei bambini, dove trovarono la forza di sopportare tutte quelle sofferenze, di affrontare gli orrori e la morte, per anni, giorno per giorno, ogni momento? Qui, adesso, un bambino di otto o dieci anni si preoccupa per un taglio a un dito …
“Questa forza passa dai genitori ai figli? Ne dubito. Ma ho la sensazione che ne abbiamo bisogno. Quel che è accaduto in Europa può accadere dovunque, in qualsiasi momento. Spero che avremo la forza di sopportare simili difficili esperienze, come hanno fatto mio padre e mia madre.”

Un venerdì pomeriggio partirono in pullman da Milano, passarono da Bergamo e imboccarono la strada di montagna ripida e tortuosa, verso Selvino. Nello stesso tempo arrivava da Boston Annamaria Torriani, la vedova di Luigi Gorini.
Selvino non è più un piccolo villaggio. Dopo tanti anni, è diventata una cittadina turistica, affollata di villeggianti durante i mesi estivi, con alberghi, ristoranti e negozi di ogni genere lungo la strada principale.
A est della cittadina, in qualche modo separata da essa, c’è la casa. Il suo aspetto è quasi immutato: la larga scalinata ricurva che porta all’ingresso, la balconata rotonda del secondo piano, le persiane verdi; le pareti esterne dipinte in bianco e ocra. Soltanto l’insegna “Sciesopoli” è stata rimossa, sostituita da un’ altra in cui si legge che la casa serve ora come colonia di vacanze per i bambini bisognosi di Milano.
E, davanti alla casa, il cortile, il cancello, le tuie, i cipressi, gli abeti, il sentiero che conduce al fitto boschetto di pini e querce.
Ad attendere gli ospiti c’erano il direttore della casa, dottor Baldi, il personale, rappresentanti del Comune, fotografi e giornalisti di Bergamo e di Milano che erano stati informati dell’avvenimento.
Quando i visitatori entrarono nell’atrio – commossi nel rivedere il luogo in cui avevano camminato, giocato e studiato da bambini, appena scampati alla valle delle ombre della morte – scese il silenzio, e per qualche lungo attimo tutti rimasero immobili. Poi, all’improvviso, non si sa come, qualcuno cominciò a cantare una vecchia canzone dei pionieri, e subito tutti si presero sottobraccio, formarono un cerchio e si scatenarono in una frenetica hora, danzando, saltando, cantando tutte le vecchie canzoni, passando da un ritornello all’altro in un crescendo estatico.
Quelli che stavano a guardare avevano gli occhi pieni di lacrime. Annamaria Torriani scoppiò a piangere sulla spalla di Moshe Ze’iri. Lui stesso non riuscì a trattenere le lacrime. Tzippora Hegger – ora Levite – sussurrò alle sue amiche: “Mi sento tutta un formicolio dentro …”
Yannek, Abek, Olek, Indusha, Bronka, Sarka rabbrividirono.
Le donne italiane che lavoravano nella casa, vestite di bianco, i giornalisti e i fotografi, gli abitanti di Selvino erano tutti stupefatti, presi dall’eccitazione generale che scorreva come elettricità da uno all’altro. Passò del tempo prima che i giornalisti riuscissero a prendere appunti e i fotografi a scattare fotografie.
Al muro era appeso un pannello con l’emblema delle spighe, il libro e la falce, e con la scritta “Casa della Aliyà giovanile, Selvino – Italia”, in variopinte lettere ebraiche, dono preparato dai bambini della cittadina per i loro ospiti israeliani.

Alessandro, il custode della casa, un uomo sui cinquant’anni che somigliava al vecchio buon Geppetto, il “padre” di Pinocchio, si avvicinò a Dov chiedendogli tutto eccitato: “Ti ricordi? Ti ricordi quando giocavamo a calcio, qui in cortile?”

Alla sera, intorno ai tavoli apparecchiati coperti di bianche tovaglie – proprio gli stessi tavoli – si celebra la vigilia dello Shabbat, proprio come una volta.
Si accendono le candele. Si cantano canzoni di Bialik e inni sacri che Ya’acov Hollander (Yannek) accompagna con la fisarmonica.
Moshe pronuncia la benedizione sul vino e sulla challà. Recita il brano profetico della settimana dal libro di Isaia: “Oh, afflitta, sbattuta dalla tempesta, sconsolata …” (54:11). Seguono ancora canzoni e preghiere.
Tutti appaiono sopraffatti dall’emozione; molti non riescono a trattenere le lacrime.

“Qui”, sussurra Olek Sarel, “qui per la prima volta dopo la guerra tornammo a sentire il calore umano. Per la prima volta…”

Poi saluti, discorsi, scambi di insegne e bandiere.
Alex Czoban-Sarel, ora impiegato nell’industria aeronautica israeliana, consegnò attestati di gratitudine ai rappresentanti del Comune, della comunità ebraica di Milano, del Joint Distribution Committee e ad Annamaria Torriani-Gorini.
Shmuel Shulman-Shilo, il “ribelle” di un tempo, ora membro di Tzeelim, attore cinematografico, e insegnante di arte drammatica all’Istituto magistrale dei kibbutz, presentò attestati e insegne in nome del suo kibbutz al sindaco e annunciò l’istituzione di un gemellaggio fra Tzeelim e Selvino.
Infine Annamaria, la vedova di Luigi Gorini, pronunciò commosse parole di ringraziamento. Annamaria non aveva mai dimenticato quei tre anni, tanto che i suoi legami con i “Bambini di Selvino” non si erano mai interrotti.
 (Aharon Megged, “Il viaggio verso la Terra Promessa. La storia dei bambini di Selvino“, Milano, Mazzotta, 1997, pp. 156 e segg.).


Translate »