“Come una rana d’inverno – La Shoah delle donne”
documentario di Daniela Padoan
Rai3, “Doc 3 – Documentario d’Autore”
regia di Maurizio Amici, montaggio di Stefano Dell’Orco, durata 50′
trasmesso il 26 gennaio 2007
Comunicato stampa Rai3
Il documentario, che prende le mosse e costituisce la continuazione ideale dell’omonimo libro di Daniela Padoan (Bompiani 2004), è imperniato sulle riflessioni lucide e accorate di due tra le ultime testimoni del campo femminile di Auschwitz-Birkenau: Liliana Segre e Goti Bauer. Al momento della deportazione Liliana aveva tredici anni, Goti ne aveva venti. Si trovarono sulla rampa di Auschwitz, le donne separate dagli uomini, le figlie separate dalle madri, i bambini mandati al gas con le più anziane; le altre – rasate, denudate, ferite nella propria femminilità, violate nel proprio pudore – selezionate per il lavoro o rese vittime di esperimenti volti a sterilizzare le “donne non degne di riprodursi” e a indurre parti gemellari nelle donne “ariane”.
Benché costituissero, insieme ai bambini, quasi il 70% di coloro che vennero inviati alle camere a gas, le donne sono pressoché invisibili nella storiografia dello sterminio nazista. Maggiore attenzione si è posta a comprendere le caratteristiche che hanno distinto la persecuzione dei rom e dei sinti, degli omosessuali maschi, dei Testimoni di Geova, e la loro presenza è diventata sovrapponibile a quella maschile.
È Primo Levi a indicarci la necessità di questa riflessione:
“Considerate se questa è una donna
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno”.
Aveva in mente le prigioniere che, dal suo internamento nel sottocampo di Buna-Monowitz, erano al di là della fila di colline e delle foreste di Birkenau. Là era il cuore dello sterminio, il luogo in cui sorgevano le camere a gas e i forni crematori, il luogo in cui intere famiglie venivano cancellate: “E a noi si è stretto il cuore, perché tutti sappiamo che là è Birkenau, che là sono finite le nostre donne, e presto anche noi vi finiremo: ma non siamo abituati a vederlo”.
Il documentario, senza nulla concedere alla “retorica della memoria”, nemmeno nella scelta delle immagini di repertorio e delle musiche, è uno sporgersi sul punto estremo della cancellazione dell’umano voluta dall’ideologia nazista della razza, testimoniato con parole scarne e implacabili.