Aveva solo 10 anni quando, nell’autunno del 1946, Hersch Pelz giunse a Selvino dalla Polonia con i suoi fratelli Dov, Yizhak, Josef e la sorella Rifka. Furono aiutati dal Joint (American Jewish Joint Distribution Committee) e dalla Brigata Ebraica.
La madre Sara, che da nubile portava il cognome di Hamer, venne accolta in un grande campo profughi vicino a Milano.
Il piccolo Zvi, insieme ai suoi quattro fratelli, rimase per circa due anni nella casa di Sciesopoli che egli chiamava il “Castello di Mussolini”. Il cibo sufficiente, la piscina riscaldata, i letti confortevoli, lo studio impegnativo e soprattutto il gioco a calcio e gli sci, gli avevano dato un nuovo calore e una nuova vita, sotto la guida attenta del direttore Moshe Zeiri, un vero padre per tutti i bambini della casa di Sciesopoli a Selvino.
Moshe Zeiri diede a tutti i bambini di Selvino un nome ebraico, perché l’ebraico doveva essere la lingua comune per comunicare tra tutti i bambini, la lingua della Bibbia. Anche Hersch Pelz cambiò il suo nome in Zvi che è la traduzione in ebraico del nome yiddish Hersch, che significa “Cervo”.

Zvi lasciò Selvino nel novembre 1948 con l’ultimo gruppo di bambini insieme a Moshe Zeiri. Prese il treno da Milano sino a Napoli e poi con la nave greca Theti raggiunse Israele. Fu un viaggio legale perché il 16 maggio 1948 lo Stato d’Israele era stato riconosciuto dall’Onu.
Per 10 anni Zvi ha vissuto come kibbuzim nel kibbutz “Kvutzat Schiller”, dove stava Moshe Zeiri.
Ha prestato servizio nell’esercito e poi, come guida turistica, ha girato il mondo. Ha avuto una moglie amorevole che gli ha dato quattro figli, ma purtroppo è morta ancora giovane.

Il 2 gugno 2018 Zvi è tornato a fare una visita speciale a Selvino con i figli Sharon, Maoz e Roy, la nipote Peleg e il piccolo Yiftach.
In una bella giornata di sole, il Comune di Selvino ha dato il benvenuto agli ospiti. Era rappresentato dalla giovane consigliera Alessandra Brissoni e dal consiglieri Mario Vitali, accompagnato dalla moglie.
Il gruppo ha fatto visita al museo di Sciesopoli, la Casa dei Bambini di Selvino, che sta nascendo nel Comune di Selvino. Poi si è  recato ai cancelli del grande edificio di Sciesopoli. Il cuore ha avuto un sussulto. I ricordi sono affiorati alla memoria e sono diventati emozionanti racconti che Zvi Dotan ha condiviso con i figli, i nipoti e con tutti noi.


La tragedia della Shoah e della Seconda guerra mondiale è stata per lui e la sua famiglia un’odissea dolorosa vissuta da un bambino che non aveva alcuna colpa, se non il semplice fatto di essere ebreo nella Polonia terribile di quegli anni di persecuzioni, ghetti, rastrellamenti, progrom, deportazione, guerra, fame e paura.
Solo a Selvino trovò sollievo tra le montagne dell’Altopiano, nella grande casa di Sciesopoli dove lo studio, lo sport e le regole della Repubblica dei Bambini di Selvino gli diedero giorni felici, una nuova vita e la speranza in un futuro di pace e serenità, che ha costruito in Israele con la sua splendida famiglia. 

Oggi Zvi vuole trasmettere ai suoi figli e nipoti, e a tutti noi, la memoria dei giorni terribili della guerra e della Shoah, ma anche quella dei giorni sereni di studio e di gioco trascorsi nella Casa dei Bambini di Selvino.

“La pietra del fotografo”: così erano chiamati i due piedistalli su cui posavano i bambini di Selvino per le foto che li avrebbero immortalati, proprio là, durante gli anni della dittatura fascista, sui piedistalli stavano i busti in bronzo degli squadristi fascisti morti nell’assalto terroristico del 4 agosto 1922 al giornale socialista dell’Avanti!
Quale incredibile rivincita per chi era stato oggetto delle leggi razziali, del disprezzo, della persecuzione, dello sterminio e dell’eliminazione fisica da parte del fascismo e del nazismo!


 

 

 

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