Poesia in ebraico di Nomi Avi Issac (Tur Kaspa) una bambina di Sciesopoli, scritta in occasione di un incontro degli ex bambini di Selvino negli anni ’80. Traduzione dall’inglese in italiano di Claudia Fuchs.

Grazie a Orit Even Shushan – Reshef che ha incluso questa poesia nel documento di ricerca, 1-1-1987.



E il paese per quarant’anni non è stato tranquillo
Ma noi, i bambini di Selvino, siamo stati essenziali in quegli anni
Per implementare, per assimilare
Per accendere e proteggere la nostra fiammella
Per destarci dal nostro lungo sonno, stasera,
Qui, in questo paese,
Evocando tutto quello che è successo.
E tutto quello che avremmo detto e tutto quello che avremmo raccontato,
adesso e in questo posto,
Non poteva né rappresentare né contenere quello che c’è stato davvero.

Quarant’anni—come se fosse solo ieri,
Attraverso l’Europa dolorante e ardente,
Dalle fauci del mostro terribile e ruggente,
Un miracolo! Ancora dei bambini, di qua e di là, che sopravvivono.
Bambini?  Scheletri che camminano e inciampano,
Ridotti a brandelli, bambini che strisciano sui sentieri innevati delle montagne
Che vengono trainati dai treni, strappati dai monasteri,
E dalle cantine e dalle rovine,
Pian piano filtrano dalle strade
Per essere tutti raccolti in una reggia.

Un palazzo magico, e non un sogno,
Palazzo italico in cima ad una montagna, grande, grandioso,
Per loro, usciti dall’inferno e dal nevischio,
in questa casa piena di luce.
Con piscina,
Con cinema fastoso,
Con sala da pranzo elegante,
Letti azzurri, lenzuola bianche,
Docce con piastrelle bianche di porcellana,
Giardino e boschetto, e neve bianca. . .
Dio mio!  Non stiamo sognando?

E quando lì siamo saliti tutti dagli abissi,
Seguendo la strada serpeggiante, sbalorditi dall’altezza,
Verso di noi, in un’aula luccicante e luminosa,
Con Moshe e Yehudith in testa,
Circondati da un grappolo di ragazzi,
La vita in questo posto irrompe di nuovo.
Ogni giorno pieno di attività, ogni bambino eccitato,
Svegliandosi alle sei e mezza,
Occhi ancora pesanti con le tenebre invernali,
Il corpo pesante ancora,
Il dovere fa sbrigare senza pietà.
Tutti corrono ai rubinetti per bagnarsi con l’acqua gelida,
Veloce! Veloci! I letti sono da fare
Poi si corre al campo per fare sport.
All’alba si alza la bandiera,
Esercizi mattutini nel freddo della montagna,
Non suonano più così strano.
Sono diventati essenziali per la vita,
Come il profumo delle panozze lunghe appena sfornate,
Su tavole lunghe apparecchiate,
E il profumo di caffè fumante nelle brocche.
Burro, marmellata, porridge,
Mandati giù avidamente.

Ogni giorno con questo inizio diventa un’avventura,
Si lavora con qualcosa che assomiglia alla gioia.
Nella lavanderia, bollitori giganti e lo strizzatoio
Nelle cantiere, in cucina, e mentre si fa la guardia,
Le lezioni sono trangugiate con sete vera.
E soprattutto, la mano dolce di un maestro (femmina e maschio).
Bambini troncati dalla loro infanzia, di nuovo si radicano, sbocciano,
Guance rosee.
Nel cuore della notte, qualche incubo, qualche pianto,
Ma di mattina il lutto è messo da parte,
Perché la verità vissuta va oltre qualsiasi sogno.
È questo il cemento versato da Moshe, sostegno di corpo e anima,
Animatore che porta la vita a queste ceneri,
Insieme a lui, altri sono coinvolti,
Yehudith, Teddy e Devorah
E la dottoressa Kissin, la regina della clinica.

I venerdì sera avremo sempre a cuore,
Yanek piccolo e Yanek grande
Che competono per il pianoforte nero,
Gli spettacoli e i balli durante ogni festeggiamento,
Le prove nello studio di Moshe, che esperienza!
Teddy che ripara spesso l’apparecchio per registrare,
I concerti fatti con dischi
E il CORO. . . .
Garry, che suona ogni strumento, ci raccomanda:
“Il coro di Beethoven mentre marciate verso la piazza!”
Quattro voci rispondono dalle colline:
E noi? “Porteremo le torce”. . . . **

Fiorisce anche l’amore
Coppie si formano
I grandi si fanno la corte
I bambini seguono e osservano.

E il cuore batte come mille tamburi
E Moshe alza una bandiera blu e bianca sull’asta del campo
Ragazzi ascoltate, ci dice eccitato,
Dopo due mille anni di esilio, oggi, in questo momento,
Là sulla terra, uno Stato è stato creato, per noi.

Per sempre ricorderò quei momenti di silenzio,
Questo Moshe—questa roccia.
Nei suoi occhi raggianti, anche una lacrima.
E così abbiamo passato la nostra prima notte di indipendenza, in fila,
Lontani, in un paese straniero, con cuori che battevano forte e voci rauche.
Senza cinismo possiamo dire: oltre ai bambini di Selvino, nessuno può capire.

**una canzone sionista cantata durante Chanukah, scritta nei primi anni ’30 con parole di Aharon Ze’ev e musica di Mordechai Zeirah

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