Auguri alla senatrice Liliana Segre per il suo novantesimo compleanno da parte di ANED – Associazione Nazionale ex Deportati nei campi nazisti che ha prodotto un video speciale per esprimerle la profonda gratitudine per la sua testimonianza. 

Gli amici dei Bambini di Selvino si associano a questi toccanti auguri con la massima stima e deferenza per Liliana Segre, un esempio per tutti noi contro ogni forma di odio e razzismo. 


Il crimine dell’indifferenza
(di Lia Tagliacozzo da “Il manifesto” del 10-09-2020)

Il suo discorso ai liceali del Canton Ticino raccolto nel libro «Scegliete sempre la vita» (Editore Casagrande). I 90 anni della senatrice a vita, superstite della Shoah, testimone delle sfide del passato come del presente. Nel ’43 la Svizzera respinse lei, suo padre e due cugini. Da Auschwitz tornerà da sola. Dopo le leggi razziali, a scuola, non subì violenze o ingiurie, ma «diventai invisibile»

Liliana-Segre-Scegliete sempre la vitaRisale a prima del Covid la testimonianza della senatrice Liliana Segre ai liceali del Canton Ticino e, per celebrarne i novanta anni – li compie oggi – la casa editrice Casagrande ha pubblicato il lungo discorso con il titolo Scegliete sempre la vita – La mia storia raccontata ai ragazzi (pp. 92, euro 12). Del linguaggio della superstite della Shoah il testo conserva tutta l’apparente semplicità e linearità. Parole piane, che si susseguono essenziali, senza scampo per il lettore-ascoltatore. Giulio Cavalli, nella prefazione al testo, scrive «di un’ecologia lessicale oltre che intellettuale a cui siamo completamente disabituati e che è il modus da cui ripartire per fronteggiare lo sbiadimento di un periodo storico».

Un lungo racconto con lingua chiara, mai banale e dalle parole misurate. «Io non sono sempre stata una donna di ottantotto anni – è l’esordio – Sono stata anch’io una bambina, una ragazzina». Uno scarto emotivo iniziale in cui Liliana Segre colloca sé stessa alla stessa età dei suoi ascoltatori, un’immedesimazione che segna tutta la lunga testimonianza: lei e i ragazzi del liceo sono così resi immediatamente uguali di fronte alla Storia che segue.

UNA TESTIMONIANZA, quella di Segre, svoltasi in un’occasione particolare: il 3 dicembre 2018 subito prima che la Senatrice prendesse la parola Manuele Bertoli, capo del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport del Cantone, ha chiesto pubblicamente scusa, per la prima volta dopo settantacinque anni, del comportamento delle guardie di confine che l’otto dicembre del 1943 respinsero alla frontiera lei, suo padre e due cugini in fuga dalle persecuzioni nazifasciste. Tornati in Italia i quattro furono arrestati e poi deportati ad Auschwitz, il campo di sterminio in territorio polacco oggi assurto a simbolo di tutto il complesso concentrazionario nazista di messa a morte di ebrei, zingari, omosessuali e oppositori politici durante il secondo conflitto mondiale. Solo Liliana è sopravvissuta.

Scuse, quelle di Bertoli, che si possono immaginare rivolte anche alle altre 24mila persone – ebree e non ebree – che, secondo la Commissione indipendente d’esperti presieduta dallo storico Jean-François Bergier, la Svizzera respinse alla frontiera.

Il giorno dell’incontro a Lugano, all’ingresso di Liliana Segre, i ragazzi si sono alzati in piedi applaudendo: un gesto di omaggio e di simpatia che ha segnato tutto il racconto. Un gesto che fa scarto e contraltare agli insulti e alle minacce che – per la vergogna dell’Italia tutta – costringe da un anno la Senatrice, per il solo fatto di essere voce pubblica della tragedia del nazifascismo ad avere la scorta delle forze dell’ordine.

NEL LIBRO testimonianza il racconto segue lo svolgersi degli eventi: «Verso la fine dell’estate del 1938 (con la promulgazione delle leggi razziste antiebraiche) arrivò la notizia che non sarei più potuta andare a scuola – spiega Liliana Segre – alla scuola pubblica che frequentavo da bambina. Ricordo quelle parole: “Espulsa”, “Sei stata espulsa”. È terribile sentirsi dire a otto anni che si è stati espulsi da scuola: non hai fatto nulla e pensi di essere una bambina qualsiasi, una bambina né brava né cattiva, una delle tante, uguale alle altre. Ma io non ero uguale alle altre: sono stata l’unica della classe a non poter più andare a scuola; sono stata l’unica ad essere “additata”: (…) Passavo vicino alla mia vecchia scuola e loro mi indicavano col dito: “Quella è la Segre e non può più venire a scuola perché è ebrea”».

Segre condensa in parole semplici e comprensibili uno dei nodi di quegli anni di persecuzione: «Dalle altre non subii atti violenti, non ricevetti ingiurie o sgarbi: semplicemente diventai invisibile. C’è un gioco crudele che qualche volta fanno i bambini più piccoli, un gioco che consiste nel fare finta che un bambino – che per qualche ragione si ritiene noioso – non esista più, e allora si smette di guardarlo; anche se quel bambino dice “Ma io sono qui!”, gli altri fanno finta di non vederlo. Io mi sono sentita così: una bambina completamente invisibile, se non fosse stato per tre o quattro compagne». Il processo discriminatorio che avvenne tra il 1938 e il 1943, nel periodo della persecuzione dei diritti, e anche nel periodo dopo l’otto settembre, quando gli ebrei rischiavano la deportazione e la vita, non avvenne nel vuoto: proprio come racconta Segre vi era un intero tessuto di relazioni professionali e amicali, di prossimità di vita e di quartiere che si misurò con le leggi razziali, i cui minuti comportamenti quotidiani segnarono la vita e, a volte, la differenza tra la vita e la morte. «Quello è stato un momento storico cruciale – prosegue Liliana Segre – Si trattava di fare una scelta e si cominciavano a vedere persone che una scelta non la facevano. Scegliere, invece, è sempre importante, anche quando ci si trova di fronte a qualcosa che ci sembra poco rilevante: a volte può essere una scelta eroica, a volte una scelta senza conseguenze. La maggior parte delle persone allora non fece la scelta. Non solo le mie compagne di scuola, ma tutti gli italiani».

LA QUESTIONE della scelta innerva tutto il racconto dell’ex deportata: quando descrive i comportamenti nel campo di sterminio, quando racconta della possibilità di sparare ad uno degli aguzzini del campo. La possibilità di scegliere c’è spesso anche in situazioni inimmaginabili. Ma il racconto si svolge in modo piano e lineare e, per tornare al 1938, Segre prosegue: «Erano contenti, andavano in piazza ad applaudire: c’era qualcuno che pensava al posto loro. Questo, ragazzi, è molto pericoloso, perché quando ci sono tanti problemi e una crisi economica, c’è sempre qualcuno che alza la voce e dice “Ci penso io”, e la gente tutto sommato è contenta, perché la vita democratica richiede più impegno da parte di tutti. Accadde proprio questo: nell’Italia fascista furono pochissimi quelli che fecero la scelta».

Parole semplici che restituiscono a tutti la possibilità di un’azione libera che è insieme politica e etica: «Si sta più volentieri con i vincenti – prosegue – l carro del vincitore, che sia un divo, un calciatore è sempre seguito da folle che applaudono; di fronte ai perdenti, invece, ai poveri, ai malati, a chi cade in disgrazia c’è sempre qualcuno che dice: “Beh, ci sarà un motivo se si trova in quella situazione. A me cosa importa?”».

NON HA INCERTEZZE Liliana Segre nel tessere in continuazione fili che dal passato, dai giorni della marcia della morte che costrinse migliaia di esseri umani senza vestiti e senza cibo a marciare per 700 chilometri, giungono determinati fino al presente: «Ragazzi, non dite mai che non ne potete più e non date sempre la colpa agli altri per quel che vi accade (…) Quella marcia era durissima, era un prova di forza con sé stessi, era il desiderio di non morire. Ve lo ripeto ragazzi: noi esseri umani siamo fortissimi, quindi nella vita mettete una gamba davanti all’altra e vedrete che alla fine c’è sempre qualcosa che vi aspetta». Fili che sbattono nella più stringente attualità anche nelle risposte alle domande dei ragazzi: «Se uno la fame non l’ha provata, se non l’ha conosciuta nel suo orrore, se non ha brucato come ho fatto io nei letamai per cercare un osso già spolpato, un pezzo di cavolo marcio o bucce di patate crude – le patate crude sono tremende – se uno la fame non l’ha provata, potrebbe dire: “Quelle persone avranno pure fame, ma qualcosa da mangiare ce l’avranno”. No: quando si ha fame, quella vera, si attraversa il mare, si scala una montagna, si fa qualunque cosa, perché la fame ti divora, non ti fa più ragionare, toglie le forze, toglie la dignità, toglie tutto».

A concludere il volume una lunga intervista di Bruno Boccaletti, responsabile dell’Approfondimento culturale della Radiotelevisione della Svizzera italiana.

LINGUAGGIO E IMPEGNO – DOPO IL SILENZIO, TROVARE LE PAROLE E REGGERE L’IMPATTO DEL DOLORE
«Il mio linguaggio è di una semplicità assoluta, parlo con i ragazzi delle scuole con le stesse parole con cui parlo ai miei nipoti»: con poche parole e il sorriso in fondo alla voce la senatrice Liliana Segre commenta il nuovo libro. Parole e silenzi si sono alternati nella sua lunga vita, ci sono stati anni in cui parlare e raccontare la propria esperienza di sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz era impossibile: «Ma con i nipoti faccio la nonna e anche adesso che racconto la mia storia in pubblico con loro parlo di vita. I miei figli invece sono nati quando ancora regnava il silenzio».
Come per altri superstiti della Shoah è stato necessario molto tempo per trovare le parole e per reggere l’impatto del dolore del racconto e della condivisione dei ricordi.
È stato intorno ai sessant’anni che Liliana Segre ha comunicato alla propria famiglia, senza chiedere il permesso, che avrebbe cominciato a testimoniare, una risposta interiore e ferma al tarlo di non avere ancora «fatto il proprio dovere». Come tanti altri, come per Piero Terracina e come per Franco Schoenheit, la presa di parola si è imposta ad un certo punto dolorosa e doverosa.
Liliana Segre, forte del suo ruolo pubblico non solo di testimone ma anche di senatrice, ha tessuto con determinazione legami tra il passato e il presente.
È di qualche mese fa l’istituzione della «Commissione straordinaria del Senato per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio». Approvata dall’aula con 151 voti favorevoli e 98 astenuti la commissione è stata bloccata dall’insorgere della pandemia: «È ancora presto per entrare nei dettagli – spiega Segre – c’è stata una battuta di arresto e mancano ancora dei passaggi ma riprenderemo i fili, incominceremo a lavorare e ne parleremo».

(di Lia Tagliacozzo da “Il manifesto” del 10-09-2020)


 

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