Un caso unico al mondo
(da L’Ecod i Bergamo di Mercoledì 6 Ottobre 2010, scritto da Anna Gandolfi)

Dal 1945 al 1948 la ex colonia Sciesopoli di Selvino diventa luogo di soggiorno per circa 800 bambini ebrei scampati alle persecuzioni razziali. Molti arrivano dai campi di concentramento.

Dopo la liberazione la Sciesopoli di Selvino, costruita negli anni ’30 come colonia parastatale per soggiorni dei ragazzi dell’élite fascista, viene affidata al Partito socialista (i beni fascisti furono affidati ai partiti nel periodo precedente alla costituzione del governo). Lelio Basso, vertice socialista, delegò il professor Luigi Gorini, partigiano milanese, a requisire la casa di Selvino.

La richiesta di trasformare l’ex colonia in un istituto per il reinserimento dei piccoli ebrei venne da Raffaele Cantoni, anch’egli socialista, che insieme a Moshe Ze’iri (poi responsabile della casa) e Teddy Beeri propose la cosa a Gorini. Gorini, conosciuto il progetto, dichiarò: «Per quei bambini, qualunque cosa». Partì il progetto, e i ragazzi furono ospitati fino al 1948: a scaglioni ripartirono, clandestinamente, per Israele. Non fu un viaggio facile: molti di loro aspettarono diversi mesi nei porti prima di salpare.
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Troupe in azione. Il report della Giornata della memoria 2011 sarà su di loro.
E anche la Rai racconta i «bimbi di Selvino»
(da L’Eco di Bergamo di Mercoledì 6 Ottobre 2010, scritto da Anna Gandolfi)

L’abbraccio con Cortinovis, il barbiere della colonia
La storia di Sciesopoli merita di essere raccontata. Ecco perché anche Rainews ha deciso di dedicare proprio ai «ragazzi di Selvino» uno dei documentari che saranno trasmessi per la Giornata della memoria, il 27 gennaio 2011.
E in questo servizio il racconto di Naftali Burstein, ebreo di origine polacca che è tornato sull’altipiano per visitare i luoghi in cui visse subito dopo la guerra in attesa di partire per Israele, sarà centrale. Il ritorno di Burstein a Selvino, il suo ingresso a Sciesopoli, è stato infatti documentato anche da una troupe della televisione nazionale. Ma non è solo la Rai a raccontare la storia di questa colonia: anche il produttore Enrico Grisanti, che l’altopiano lo conosce bene avendoci una casa di villeggiatura, sta realizzando un cortometraggio su Sciesopoli.
Selvino e la sua gente hanno molto da raccontare: la dimostrazione si è avuta anche l’altro giorno, quando ad attendere Burstein c’era pure Andrea Cortinovis, che oggi ha 94 anni. Era il barbiere incaricato di tagliare i capelli ai ragazzini della colonia: ha voluto abbracciare uno dei suoi ragazzi, «il più grandicello». «Tutti i venerdì ero qui, quante volte su e giù in bicicletta», spiega. Fra i due un abbraccio affettuoso, poche parole ma tanta commozione. «Uscivamo poco, per decisione di Moshe Ze’iri – ha spiegato il sopravvissuto –: non voleva che venissimo a contatto con i problemi dell’Europa che si ricostruiva, mercato nero, prostituzione. Però i ragazzini del paese li incontravamo, ogni tanto». Anche per le partite a calcio. «Chi c’era racconta che ogni tanto i ragazzi di qui lasciavano vincere i piccoli ospiti, perché poi avrebbero ricevuto premi di consolazione, merenda e cibo», racconta il vicesindaco Angelo Bertocchi. Il paese a quei ragazzini ebrei è molto legato, la vicinanza è coltivata anche a livello istituzionale. Nel 1983 un gruppo di ex scolari arrivò a Selvino per rivedere i luoghi dell’infanzia, poi i viaggi, ultimo quello di Burstein, furono molti. In patria i ragazzi di Selvino avevano fondato il kibbutz Tzeelim: con esso il Comune di Selvino (allora era sindaco Vinicio Grigis) ha avviato un gemellaggio 23 anni fa.
(Anna Gandolfi)
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A 81 anni da Israele all’altopiano.
«Temevo di scivolare dal letto, era un miracolo stare qui»
«Lenzuola pulite, quasi ci facevano paura»
(da L’Eco di Bergamo di Mercoledì 6 Ottobre 2010, scritto da Anna Gandolfi)

«C’era un bambino, qui, che aveva paura ad andare a dormire. Aveva paura di cadere dal letto, di scivolare dalle lenzuola così pulite. Anche io lo pensavo, a volte». Naftali Burstein oggi ha 81 anni: è uno dei «ragazzi di Selvino» e, dopo tanto tempo, ha voluto tornare a Sciesopoli, dove i militari americani l’avevano portato subito dopo la guerra.

È un viaggio della memoria, quello di Naftali, che oggi è diventato nonno e nel suo percorso lungo l’Europa e i luoghi che l’hanno visto perseguitato e profugo, ragazzino di strada e orfano, ha portato la sua famiglia. Sull’altopiano sono arrivati con un pulmino: il capofamiglia, che precede tutti e si muove veloce, un fiume in piena, la figlia Adi che sorride dicendo che «sono giorni che dobbiamo rincorrerlo», il figlio Yosi, i due nipoti, il genero. Una piccola comitiva che a Selvino riannoda fili del passato: «Ieri siamo stati a Milano. Vicino alla sinagoga di via dell’Unione 5 c’era l’ufficio dove passavano le segnalazioni per ritrovare i parenti alla fine delle guerra».
È la figlia a tradurre per Naftali, che parla yiddidh e dal 1947 vive in Israele. Lì, partito da Selvino, con altri ragazzi della colonia ha fondato il kibbuz Tzeelim, nella cittadina di Eshkol, la terra promessa per lui che sull’altopiano era arrivato quando aveva 15 anni. «Ero il più grande, qui…». Alle spalle una storia rocambolesca, fatta di fughe, nascondigli, lutti e terrore. Caratteristiche comuni a tutti coloro che arrivarono qui, nella comunità guidata da Moshe Ze’iri e costruita per ridare speranza e gioia di vivere a chi l’Olocausto l’aveva vissuto sulla propria pelle. Burstein, prima di salire a Sciesopoli è giunto in Comune con la famiglia, ad accoglierlo il sindaco Carmelo Ghilardi, il vicesindaco Angelo Bertocchi e l’assessore alla Cultura Sara Grigis. In dono porta una fotografia: sono loro, i «ragazzi di Selvino», fotografati nel 1945. «Sono qui per dire grazie a questa comunità», spiega. Un’immagine che, come spiega Ghilardi, «starà in bella vista nell’ufficio del sindaco». I ragazzi sono fotografati sullo scalone di Sciesopoli dove poco dopo Naftali s’inerpicherà commosso e chiederà di essere immortalato, mettendosi tutto sulla sinistra, proprio come in quella foto. Accanto a lui figli e nipoti: «Allora ero solo al mondo, adesso sono qui con voi che siete tutto».
Naftali Burstein è nato a Chelm, nella Polonia orientale, ha perso i genitori poco dopo l’inizio della guerra. «Mio padre era un barbiere molto richiesto, serviva ai tedeschi e quindi abbiamo pensato di cavarcela. Poi un giorno sono arrivati nel nostro palazzo, hanno fatto scendere tutti in cortile. Mio padre ci aveva detto guardandoci negli occhi uno a uno: se potete scappate, scappate. Io sono fuggito. Ho visto dalla finestra che li avevano messi tutti lungo un muro, ma c’era una porta che dava sul giardino del retro, ci sono arrivato, l’ho aperta. Papà e mamma sono scappati, mio fratello e mia sorella invece non li ho mai più visti da allora». Ed è a Chelm che la famiglia, prima di arrivare in Italia, ha fatto tappa proprio per cercare i certificati di nascita dei due fratelli. Catturati, i genitori sono morti poco dopo di tifo, mentre lui si nasconde a Varsavia. «Ero solo, vivevo in strada, facevo lo strillone. Nel giornale avevo fogli nascosti con le notizie di Radio Londra». Poi i rastrellamenti, la nuova fuga verso i confini, l’arrivo dei russi. «Ho pensato di morire tante volte. Poi in gruppi da 20 ci hanno inviato qui. La guerra era finita, per noi era un miracolo: qui, in una casa dei giovani fascisti. Era tutto ordinato, c’era cibo, abbiamo ripreso a studiare. Non so come dire grazie a Selvino. Qui è ripresa la mia vita».
(Anna Gandolfi)
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Fu la casa dei bambini scampati ai lager: «Salviamo l’ex colonia»
Selvino, nel 1945 Sciesopoli ospitò 800 ebrei. Ora è nel degrado.
Ipotesi recupero con spazi sociali e wellness. Ma servono partner.
(da L’Eco di Bergamo di Mercoledì 6 Ottobre 2010, scritto da Anna Gandolfi)

Arrivavano dagli angoli di un’Europa appena liberata e in cui loro già avevano visto di tutto. Erano sopravvissuti ai campi di Mauthausen, Auschwitz, Dachau, sfuggiti ai rastrellamenti, erano orfani. Ma ironia della sorte qui, in una colonia nata negli anni ’30 per le vacanze dei giovani fascisti, avevano ricominciato a vivere, in attesa di ripartire alla volta di Israele, la loro terra promessa.
Sono oltre 800 i bambini che, raccolti dalle organizzazioni ebraiche, hanno trascorso a Selvino il dopoguerra, dal 1945 al 1948. La loro prima casa dopo i lager si chiama Sciesopoli, dal nome dell’eroe nazionale, Amatore Sciesa, ucciso nel 1851 dagli austriaci. Un monumento alla memoria, questa Sciesopoli, che oggi lotta con l’oblio: costruita come struttura parastatale per l’élite fascista, requisita dai socialisti nel 1945 e destinata al soggiorno dei piccoli profughi, è passata a una fondazione legata al Comune di Milano e dal 1948 a metà degli anni ’80 è tornata a essere meta di soggiorni terapeutici. Poi la chiusura e la vendita all’asta. Una superficie di 28 mila metri quadri, con strutture su 9 mila, distribuite su tre piani, per un corpo centrale e due secondari con aule, mensa, dormitori, strutture sportive (c’era pure la piscina).
Sulla facciata centrale ancora campeggia la scritta «O. P. per l’assistenza climatica», ma il resto ha perso smalto: su Sciesopoli, chiusa da oltre 25 anni, è calato il degrado. Erba alta e sterpaglie fanno da cornice ai giardini, mentre all’interno sono arrivati i vandali a dare una ripassata. Si intravedono dalle finestre malmesse carte sparse sui pavimenti con i nomi dei ragazzi che sono passati di qui, cartoline e disegni ingialliti dal tempo, qualche disco in vinile, polvere e vetri rotti. Sui muri scritte e graffiti che si accostano alle lapidi in cui, in un grottesco accavallarsi, campeggia ancora in bella vista il nome del «primo benefattore della struttura, Benito Mussolini che donò lire cinquemila» per i suoi balilla.
Eppure la struttura non sembra mostrare gravi problemi di tenuta: il problema è che metter mano a questo spazio tanto grande costa.
La proprietà, una società di Vallo della Lucania (Salerno), ha fatto sapere in passato di essere disposta «a una cessione o soprattutto collaborare con partner locali per il rilancio»: ora sta studiando una proposta da inoltrare al Comune.
Il Comune, dal canto suo, è disposto a discutere le destinazioni urbanistiche per favorire la svolta, fermo restando che almeno in parte Sciesopoli (su cui non ci sono vincoli architettonici) dovrà mantenere un interesse pubblico e salvaguardare gli aspetti salienti di memoria storica.
«L’area ha destinazione socio-sanitaria – chiosa il sindaco Carmelo Ghilardi –, e il vincolo è stato confermato nel Prg. Siamo pronti a discutere sul recupero, che potrebbe prevedere anche spazi ricettivi o sociali. Il residenziale? Quello no».
Trovare la quadra per recuperare il complesso, senza snaturarlo ma in modo economicamente sostenibile, non è facile. Ecco perché il Comune apre all’idea della ricettività. «In passato si è discusso anche di creare una casa di riposo, ma gli accreditamenti pubblici sono fermi e senza l’investimento non è appetibile». Si è bussato anche alla porta della Regione, «ma senza successo». L’impegno delle istituzioni è essenziale per sostenere la parte di funzione pubblica che il Comune vorrebbe mantenere nell’accordo con il privato. Privato che, dal canto suo, sta studiando cosa fare. Novità ci sono: il Gruppo Schiavo Spa (che ha anche un ramo alberghiero) sta effettuando indagini di mercato: «Un progetto di massima esiste ma dobbiamo confrontarci con l’amministrazione. Deve essere sostenibile: comprende spazi sociali, ma anche ricettivi e residenziali». Dettagli pochi, ma pare che in ballo ci sia anche un hotel di piccole dimensioni, con servizi di beauty farm e benessere. E se l’obiettivo di tutti è salvare Sciesopoli, Ghilardi fa sul serio: in questi anni ha scritto pile di lettere, «a politici, istituzioni, ambasciatori, gruppi ebraici», e pure a Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica. Qui, nel 2009, ha spiegato che Sciesopoli, «più che un luogo fisico, per tante persone crocevia di rinascita e speranza», rischia «di essere consegnato all’oblio della storia e alla completa rovina» se ognuno non farà la sua parte.
(Anna Gandolfi)

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