La Biennale di Venezia ha assegnato il leone d’argento al film che è un monito per ricordare la Shoah.
Non ci stancheremo mai di ricordare questa tragedia.
Il film racconta una storia di vita quotidiana durante gli eventi più tragici e l’orrore della
Seconda Guerra Mondiale.
Una storia in bianco e nero di tre destini incrociati: Olga, Jules e Helmut.
Olga è un’aristocratica russa emigrata in Franca e membro della resistenza francese,
arrestata dalle SS per aver nascosto e protetto due bambini ebrei durante un raid nazista.
Jules è un collaborazionista francese; commissario ai tempi della repubblica di Vichy,
investiga sul suo caso e promette un alleggerimento della pena in cambio di favori sessuali.
Anche se Olga accetta lo scambio, gli eventi la condurranno comunque in un campo di concentramento.
Nel campo incontrerà Helmut, ufficiale delle SS, una volta innamorato di lei ed ancora invaghito.
Il significato di questo film sulla Shoah è ben espresso dalla citazione del filosofo tedesco Karl Jaspers:
Quello che è successo è un avvertimento. Deve essere continuamente ricordato.
Come è stato possibile che sia accaduto una volta, così rimane la possibilità che succeda ancora,
in qualunque momento. Solo la conoscenza di ciò che fu, può evitare che riaccada”.
Sullo sfondo tragico dei campi di concentramento, il motto “ogni vita ha un suo significato
”.

Girato in un austero bianco e nero nel formato 4:3, il film di Andrei Konchalovsky
pone a distanza l’olocausto, riflette sulla Storia che si radica negli eventi e che vuole
comunicare con il presente.
Le immagini sono un j’accuse sulle origini del male e sulla possibilità di compiere il bene
in determinate circostanze storiche e personali.
Il “Paradiso” del titolo è un luogo ideale, un’aspirazione dell’individuo osservata da prospettive
diverse e contrastanti, ma soprattutto è il luogo del primato nazista della razza superiore,
che deriva dal concetto demografico e razzista di “Superuomo – Übermensch”.

 Konchalovsky ha scritto la sceneggiatura insieme ad Elena Kiseleva, dopo l’esperienza
per The Postman’s white Night, strutturando il film attraverso una serie di interviste in presa diretta,
ma senza sapere chi sia l’interlocutore che pone le domande.
La voce fuori campo dà alla storia un carattere universale.
Si tratta di una distanza programmatica dai sentimenti e dalle motivazioni dei personaggi,
dove anche “l’amore folle” tra Olga ed Helmut viene descritto attraverso la supremazia della parola.
Come la sequenza “negata” sul feticismo dei piedi raccontato da Helmut.

Il film appare di chiara impostazione teatrale. Vi predomina la parola piuttosto che l’azione.
I corpi non si sfiorano e le testimonianze dei protagonisti ci sembrano degli interrogatori di un tribunale.
L’insieme ha l’andamento e la compostezza ieratica della tragedia classica.
In ossequio al produttore, che è la televisione russa, vi traspare una certa retorica nazionalista,
secondo le necessità della politica internazionale russa attuale.

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“La storia è piena di grandi tragedie – ha detto Andrei Konchalovsky – la maggior parte
delle quali ci appaiono come antichi misfatti che non potrebbero più accadere al giorno d’oggi”.
Per il regista e sceneggiatore russo “uno dei momenti più terribili della storia della nostra generazione
è stata l’ascesa del partito nazista e lo sterminio di milioni di ebrei e di altre persone che non
rientravano nell’ideale nazista di un “perfetto paradiso” tedesco: tali atrocità dimostrarono
fino a dove possa spingersi la malvagità degli esseri umani”.
Sebbene questi eventi siano accaduti nel passato, per Konchalovsky “oggi sta tornando
alla ribalta lo stesso modo di pensare radicale e intriso d’odio che minaccia la vita
e la sicurezza di molti individui nel mondo
”.
“Paradise” riflette così su un ventesimo secolo “carico di grandi illusioni sepolte
sotto le rovine, sui pericoli della retorica dell’odio e sul bisogno degli esseri umani
di usare la potenza dell’amore per trionfare sul male”.

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