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LINK SU SCUOLA E SHOAH


Villa Emma a Nonantola (Modena), 1942-1943

A Nonantola in provincia di Modena, c’è la villa che accolse 73 ragazzi ebrei in fuga nell’Europa sconvolta dalla guerra, dove rimasero fra l’estate del 1942 e l’autunno del 1943. Fuggirono dopo l’8 settembre per scampare all’arresto e alla deportazione e approdarono in Svizzera, da cui raggiunsero la Palestina dopo la guerra.
Oggi Villa Emma è una proprietà privata per ricevimenti e incontri.
A Nonantola vi è la “Fondazione Villa Emma – Ragazzi ebrei salvati”, che ha tra i soci fondatori il Comune di Nonantola e la Provincia di Modena.

I raggazzi ebrei di villa Emma e un bidello coraggioso

I Giusti della provincia di Modena

Mostra “Ragazzi in fuga: gli ebrei di Villa Emma (Nonantola, 1942-1943)”

La mostra, nata dalla collaborazione tra la Fondazione Villa Emma e lo storico Klaus Voigt, consente di ricostruire la lunga fuga di 73 ragazzi ebrei e dei loro accompagnatori attraverso l’Europa segnata da guerra e persecuzioni. Particolare risalto acquista il periodo della permanenza a Villa Emma, dove, grazie all’aiuto della popolazione di Nonantola, i mesi trascorsero all’insegna di una normalità ristabilita, fatta di studio, lavoro e svaghi.
La mostra presenta documenti, fotografie e mappe che illustrano i vari spostamenti del gruppo – da Lesno Brdo (Slovenia) a Nonantola, per approdare poi Bex (Svizzera) e di lì in Palestina − rispecchiano i tanti momenti dell’esperienza vissuta dai ragazzi, portando in primo piano gli aspetti legati alla vita quotidiana.
Del gruppo di ragazzi che trovarono rifugio a Villa Emma, alla fine solo in due non riuscirono a salvarsi: Salomon Papo e Goffredo Pacifici, deportati e assassinati ad Auschwitz.

Film documentario “I ragazzi di Villa Emma. Giovani ebrei in fuga” di Aldo Zappalà, Fondaz. Villa Emma, 2009

LIBRI

Ilva Vaccari, Villa Emma. Un episodio agli albori della Resistenza modenese nel quadro delle persecuzioni razziali, Istituto storico della Resistenza, Modena 1960

I giorni di villa Emma, anno scolastico 1977-78 Nonantola, ed. Poligrafico Artioli, 1978, pp. 111
Una mini troupe di ragazzi e i loro genitori realizzano un film sulla resistenza (lasse 3 d scuola media e classe 4 scuola elementare di Nonantola, con vignette illustrative)

Giuseppe Pederiali, I ragazzi di Villa Emma, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1989 e seguenti, pp. 189.

Villa Emma. I luoghi e le persone, a cura dell’Amministrazione Comunale e del Comitato per le celebrazioni del 50° della guerra di liberazione, Nonantola 1993

Klaus Voigt, Villa Emma: Ragazzi ebrei in fuga, 1940-1945, La Nuova Italia, Firenze 2002
L’avventurosa storia di un gruppo di giovani ebrei, scampati alle persecuzioni naziste e fuggiti, fra il 1940 e il 1945, attraverso la Jugoslavia, l’Italia, la Svizzera, fino alla salvezza in Palestina, diventa occasione, nelle pagine di questo libro, per raccontare una straordinaria vicenda di solidarietà, testimonianza di un legame ancora vivo tra i protagonisti di quegli avvenimenti e la popolazione di una piccola cittadina italiana. Giunti in Italia a partire dal luglio 1942, 73 ragazzi furono ospitati per un anno a Nonantola (Modena), presso Villa Emma, per iniziativa della Delasem, l’organizzazione assistenziale degli ebrei italiani.

Monica Debbia, Marzia Luppi, La vicenda dei ragazzi ebrei di villa Emma a Nonantola 1942-1943, Artestampa, Comune di Nonantola, 2002, 182 pagine
Questo “quaderno didattico” espressamente pensato per la scuola nasce in concomitanza con un’importante pubblicazione di Klaus Voigt, “Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga, 1940-1945” e con la mostra fotografica “I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola. 1942-1943”.
La vicenda di Villa Emma – una grande casa padronale a Nonantola, nei pressi di Modena, dove fu nascosto e aiutato a fuggire un gruppo di ragazzi ebrei – è un episodio della seconda guerra mondiale che può considerarsi simbolico della solidarietà che tanta parte della popolazione civile seppe dimostrare agli ebrei perseguitati dai nazifascisti. Le autrici hanno costruito con questo testo uno strumento di lavoro ricco e approfondito, che nelle tre sezioni: Perseguitati, In fuga e Villa Emma, ripercorre le fasi essenziali dell’episodio, mettendo chiaramente in luce i rapporti tra la singola vicenda e la grande storia.

Josef Indig Ithai, Anni di fuga. I ragazzi di Villa Emma a Nonantola, a cura di Klaus Vogt, Giunti, Firenze 2004

Ragazzi ebrei a Villa Emma. Nonantola 1942-1943. Una storia di solidarietà, [S. l. : s. n., dopo il 2005]

Maria Laura Marescalchi, Anna Maria Ori, Nonantola e i salvati di Villa Emma. Luglio 1942 – Ottobre 1943. Una guida per la scuola e per i visitatori, Fondazione Villa Emma, Nonantola 2007

I ragazzi di Villa Emma. Giovani ebrei in fuga. Strumenti per l’approfondimento, a cura di Maria Laura Marescalchi e Anna Maria Ori, Fondazione Villa Emma, Modena 2009


binario 21

Dal Binario 21 a Milano partirono i treni dei deportati

“Il Binario 21” alla Stazione Centrale di Milano, il memoriale della Shoah

All’entrata è incisa nel ferro a grandi lettere la parola INDIFFERENZA

Il Memoriale del “Binario 21” è il luogo da cui ebbe inizio l’orrore della Shoah a Milano.
Da qui partirono, tra il 1943 e il 1945, i treni pieni di deportati ebrei diretti ai campi di sterminio nazisti.


Pergamena donata dagli ebrei nascosti a Gandino

Pergamena donata dagli ebrei nascosti a Gandino

Gandino (Bergamo), il paese dei Giusti fra le Nazioni

Gandino, all’intero paese il titolo di «Giusto fra le Nazioni», l’unica onoreficenza civile dello Stato d’Israele

26 novembre 2005, onoreficenza ebraica per gandinesi eroici

Il paese che salvò gli ebrei dalla follia nazista

L’emozione della Memoria per gli ebrei salvati dai gandinesi, 2005-2006

La ricostruzione fatta dallo storico locale Iko Colombi


bosco dei giusti di Bagnocavallo   inaugurato il parco dei giusti di Bagnocavallo (31 maggio 2012)

Bagnocavallo (Ravenna) fu uno dei luoghi della rete di salvezza e di fuga in Svizzera degli ebrei perseguitati dalle leggi razziali.

Vedi Silvio Cavati “Da S.Agata ad Auschwitz”

A Bagnocavallo durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana,  trovarono temporaneo rifugio alcune famiglie di profughi ebrei provenienti da Fiume, di passaggio nel tentativo di espatriare quindi in Svizzera.
In questo impegno di solidarietà, si distinsero il cantoniere Antonio Dalla Valle e la famiglia Tambini.

Il 28 aprile 1974, l’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito l’alta onorificenza dei giusti tra le nazioni ad Antonio Dalla Valle, ai coniugi Aurelio e Aurelia Tambini e ai loro figli Vincenzo e Rosina.

Un ricordo particolare va ad una donna: Lydia Gelmi Cattaneo di Bergamo.
La sua casa in Ponte San Pietro (Bg) era una delle “stazioni” della via verso la salvezza. Lo racconta il figlio Angiolello Cattaneo:
“A Bagnocavallo, in Romagna, c’era qualcosa, forse una famiglia, comunque un punto di riferimento per gli ebrei d’Europa che volevano salvarsi. Mia madre si mise in contatto con Bagnocavallo attraverso i suoi amici e cominciò ad aiutare anche persone che non conosceva”.
(vedi Giuseppe Belotti, I Cattolici di Bergamo nella Resistenza, pp. 163-175)

Vedi il sito del Comune
Ricerca del Liceo Scientifico Lugo
I non ebrei che salvarono gli ebrei


Cotignola (Ravenna) il paese dei Giusti
Il comune di Cotignola (Ravenna), come Gandino (Bergamo) ed Aprica (Sondrio) merita un ricordo particolare.
Tutto il paese e l’amministrazione si prestò alla salvezza organizzata degli ebrei nonché dei partigiani e dei perseguitati politici.
Il coraggio fu anche maggiore, perché Cotignola fu per quasi cinque mesi sulla linea del fronte prima della battaglia finale dell’aprile 1945 e quindi assai più intenso il controllo tedesco e fascista.
Lo storico locale Michele Bassi ha raccolto documenti e testimonianze che vanno semplicemente trascritte: “La maggioranza dei cittadini finge di non conoscerli più; li scansa o li evita addirittura. Non vuole compromettersi per alcuna ragione. Nessuno offre loro un lavoro. Da questo momento l’ebreo è un animale braccato cui isolamento e nascondiglio possono dare un minimo di garanzia per sopravvivere.” Si trova negli archivi del comune di Cotignola un prezioso carteggio costituito da decine di testimonianze rilasciate da ebrei.
Nel 1987 il Comune di Cotignola inaugurò, lungo l’argine del Senio, il Parco della Memoria: in una stele dedicata al ricordo e alla solidarietà sono riportati da un lato i nomi degli ebrei salvati e dall’altro i nomi dei soccorritori.
Vedi alcune note del Museo ebraico di Roma  e  Cotignola un paese di GiustiUna ricerca del Liceo Scientifico “G.Ricci Curbastro” di Lugo

Vedi il libro di Gregorio Caravita: “Ebrei in Romagna (1938-1945)” – Longo Editore Ravenna

stele-dei-salvati-Cotignola


Portami di là, spettacolo teatrale sull'espatrio degli Ebrei

Portami di là, spettacolo teatrale sull’espatrio degli ebrei di Aprica

Aprica (Sondrio), la fuga di circa 300 ebrei verso la Svizzera, settembre-ottobre 1943

Una targa per chi aiutò a salvare la vita di oltre trecento ebrei internati ad Aprica

I Giusti di Tirano (Sondrio)

Alan Poletti, Una seconda vita: Aprica – Svizzera 1943, la salvezza, ediz. Museo Etnografico Tiranese, Sondrio, 2012

Portami di là, spettacolo teatrale sulla fuga in Svizzera degli ebrei di Aprica


museo di Nardò

Museo della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria al Bagno, Nardò (Lecce), uno dei murales di Zivi Miller

A Nardò (Lecce) il campo profughi n° 34 di Santa Maria al Bagno, 1944-1947

Mario Mennonna, Ebrei a Nardò. Campo profughi n° 34. Santa Maria al Bagno (1944-1947), 2009, Congedo Editore

IL MUSEO
Il Museo della Memoria e dell’Accoglienza è stato inaugurato il 14 gennaio del 2009.
La struttura è stata progettata dall’architetto-urbanista Luca Zevi – autore anche del Museo Nazionale della Shoah a Roma – e custodisce i murales realizzati dal profugo ebreo Zivi Miller, recuperati dopo un complesso lavoro di restauro diretto da Nori Meo-Evoli.
In una seconda sala, il museo ospita una mostra fotografica che documenta la vita dei rifugiati all’interno del campo profughi n° 34 di Santa Maria al Bagno.
Inoltre, attraverso la documentazione esposta in un lungo corridoio è possibile ricostruire le “storie” dei profughi e dei loro discendenti, tornati a Santa Maria al Bagno sulle tracce della loro storia familiare.

Bibliografia e memorie dei campi di prigionia e internamento .

“Non eravamo profughi ma piuttosto persone sradicate”, racconta una delle ex bambine di Santa Maria di Leuca, oggi una signora israeliana quasi settantenne. La sua storia e quella degli altri bambini del campo è raccontata nel documentario “Rinascere in Puglia” di Yael Katzir e Gady Castel.
Vedi articolo su Internazionale:


izieu

Izieu, la colonia dei bambini ebrei

[sz-vimeo url=”https://vimeo.com/119858386″ /]In Francia, a Izieu (Rodano-Alpi), una colonia per bambini ebrei rifugiati 1943-1944

[sz-vimeo url=”https://player.vimeo.com/video/119858386″ /][sz-vimeo url=”119858386″ caption=”Rinascere in Pugllia” /]Stéphanie Boissard, Chi verrebbe a cercarci qui, in questo posto isolato? Izieu, una Colonia per bambini ebrei rifugiati 1943-1944, Anniversary Books, 2014
Il libro narra le vicende della colonia per bambini ebrei di Izieu – un piccolo borgo francese a metà strada tra Chambéry e Lione – nel contesto sia della drammatica occupazione tedesca e italiana della Francia e delle deportazioni nei campi di sterminio, sia delle straordinarie azioni di solidarietà verso i perseguitati. Una storia simile a quella italiana di Villa Emma di Nonantola, ma conclusasi tragicamente. Il 6 aprile 1944 alcuni uomini della Gestapo e soldati della Wehrmacht, su ordine di Klaus Barbie, il boia di Lione, irrompono nella colonia d’Izieu. Quarantaquattro bambini e ragazzi dai 4 ai 17 anni e sette educatori sono arrestati e deportati. Quarantadue bambini e ragazzi e cinque adulti sono assassinati ad Auschwitz-Birkenau. Un adulto e due adolescenti sono fucilati a Reval (oggi Tallinn) in Estonia. Solo un’educatrice, utilizzata ad Auschwitz per esperimenti medici, sopravvive alla deportazione.
Oggi il memoriale d’Izieu è riconosciuto come uno dei tre luoghi di commemorazione nazionale delle vittime delle persecuzioni razziste e antisemite e dei crimini contro l’umanità commessi con la complicità dello Stato francese.

Mostra didattica: «Izieu, una colonia per bambini ebrei rifugiati 1943-1944».

izieu

Izieu oggi e la colonia dei bambini ebrei

Au revoir les enfants – La storia dei bambini di Izieu
La storia dei bambini ebrei durante la Shoah: scampati alle persecuzioni, trovarono rifugio a Izieu.  Fino a quando non furono scoperti dai nazisti e deportati ad Auschwitz, dal ciclo “La storia siamo noi” della RAI TV italiana.

Sempre in Francia, la popolazione protestante del paesino di Le Chambon-sur-Lignon nel dipartimeento dell’Alta Loira, di circa duemila abitanti, nascose tra i 3.000 e i 5.000 rifugiati, la maggior parte dei quali ebrei savandoli dalla deportazione nazista.

Vedi il libro di Caroline Moorehead,Village of Secrets, pubblicato nel 2014

Le Chambon-sur-Lignon

Le Chambon-sur-Lignon

Gli abitanti ospitarono nelle loro case gli ebrei durante la loro fuga.
Vedi la pagina del film “Weapons of the Spirit” di Pierre Sauvage dedicato alla vicenda.
I cittadini del comune sono stati riconosciuti “Giusti tra le nazioni” nel 1990 e a loro è dedicato un giardino all’interno del museo Yad Vashem.

In Francia, il campo di Saint-Gervais les Bains, nell’Alta Savoia; popolato, fino all’8 settembre, da diverse centinaia di ebrei, luogo di asilo per i refoulés e punto di ritrovo per coloro ancora in attesa di tentare il passaggio.
Cfr. M. Lewi, Histoire d’une communauté juive: Roanne, Roanne, Horvath, 1976, p. 53;
ed ora M.R. Marrus e R.O. Paxton, Vichy et les Juifs, Parigi, Calmann-Lévy, 1981, p. 294.
Sui passaggi dalla Savoia in Svizzera (le tariffe si aggiravano sui 3.000/8.000 franchi francesi ed i vari aspetti dell’intera vicenda – se si eccettua un ben maggiore impegno organizzativo del vasto ebraismo francese – erano assai simili a quelli qui descritti per il confine italo-elvetico) cfr. idem, pp. 284-5, e Activé des organisations juives en France sous l’occupation, Parigi, Centre de Documentation Juive Contemporaine, 1947, pp. 95, 166-169


In Francia, il campo di Saint Martin Vésubie, che dal novembre 1942 all’8 settembre 1943 fu zona occupata dall’Italia, contava circa 750 prigionieri ebrei, forse più di mille. Dopo l’8 settembre scapparono tra le montagne verso l’Italia, dopo ore di marcia pericolosa. Circa  400 ebrei riuscirono a disperdere le loro tracce con l”aiuto della popolazione e di don Raimondo Viale (“Il prete giusto” raccontato da Nuto Revelli in un libro toccante edito da Einaudi nel 1998), ma altri 349 ebrei furono arrestati dai fascisti il 18 settembre 1943 e rinchiusi nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo e tutti furono deportati il 21 novembre 1943 ad Auschwitz: solo nove si salvarono.

LIBRI
Alberto Cavaglion, Nella notte straniera: gli ebrei di Saint-Martin-Vésubie e il campo di Borgo San Dalmazzo: 8 settembre – 21 novembre 1943, L’Arciere, Cuneo, 1981
Adriana Muncinelli, Even. Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1945, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1994
Saint-Martin-Vesubie  Saint-Martin-Vesubie


Exodus

La nave “Exodus” (foto Archivio Cds)

La Spezia, detta “la Porta di Sion”

La Spezia è stata la città portuale italiana da cui partirono, nel 1946-1947 al termine della Seconda guerra mondiale, circa duemila ebrei sopravvissuti alla Shoah diretti in Palestina, sulle navi:  la Fede di Savona (ribattezzata Dov Oz), il motoveliero Fenice (ribattezzato Elyahu Golomb).

Leggi un articolo di Repubblica del 10 ottobre 2005.

Inoltre nella notte tra il 7 e l’8 Maggio 1947 la nave Tradewinds *HA’Tikvah, che significa “La Speranza, allestita a Lisbona in Portogallo e a Portovenere in Italia, imbarcò a Bogliasco e a Bocca di Magra 1.414 profughi (fra cui i genitori di Miriam Bisk provenienti da Selvino).

Nelle stesse ore era giunta nelle acque del golfo della Spezia, proveniente da Marsiglia, la nave President Warfield, un goffo e pesante battello adatto a portare turisti giù per il Potomac, da Baltimora a Norfolk in Virginia.
La nave venne ristrutturata nel cantiere dell’olivo a Portovenere per la più grande impresa biblica dell’emigrazione ebraica: trasportare 4.515 profughi stipati su 4 piani di cuccette dall’altra parte del mediterraneo.

L’imbarcazione divenne un simbolo, prese il nome di Exodus, raggiunse le coste della Palestina, venne attaccata dagli inglesi e avviò la nascita dello stato di Israele.
A narrarci le peripezie dei profughi dello sterminio ebreo cc’è il celebre romanzo Exodus scritto nel 1958 da Leon Uris. Il tema è stato ripreso nel libro “Il comandante dell’Exodus” di Yoram Kaniuk.
Exodus è anche un bellissimo film del 1960 di Otto Preminger interpretato da Paul Newman, Peter Lanfoird ed Eva Marie Saint.

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La Exodus mosse dal golfo della Spezia ai primi di Luglio del 1947, sostò a Port-de-Bouc, caricò a Séte, fu assalita e speronata dai cacciatorpedinieri britannici davanti a Kfar Vitkin. Ci furono morti a bordo, gente che era sopravissuta ai lager e che finì i suoi giorni a due passi dalla speranza nelle acque tra Netanya e Haifa. Dopodiché gli inglesi rimandarono i profughi ad Amburgo al campo di Poppendorf, un ex lager trasformato in campo di prigionia per gli ebrei.
Il nome di Exodus da allora significò il desiderio di giustizia per l’emigrazione ebraica. Ma solo con la fine del mandato britannico i profughi sarebbero potuti tornare in Palestina.
Per questo motivo La Spezia è conosciuta in Israele e sulle carte geografiche israeliane con il nome di “Schàar Zion” (Porta di Sion).

Il porto di La Spezia visto dall nave che portò in Palestina gli ebrei reduci dai campi di sterminio

Il porto di La Spezia visto dalla nave che portò in Palestina gli ebrei reduci dai campi di sterminio

Uno spettacolo teatrale racconta questa vicenda.

La mostra “La Spezia città di Exodus” formata da trenta pannelli con fotografie, documenti ed immagini.

Il Premio Exodus

Sul conflitto israelo-palestinese le riflessioni di Giorgio Pagano, già sindaco di La Spezia per dieci anni dal 1997 al 2007


Lapide in ricordo di Carl Lutz

Lapide in ricordo di Carl Lutz

La Svizzera, i rifugiati e la Shoah

Fonte: http://www.dodis.ch
La Svizzera ha dovuto fare i conti a vari livelli con lo sterminio degli ebrei europei da parte dei nazisti.
Dalla presa del potere di Hitler nel 1933 fino alla fine della guerra nel 1945, innumerevoli perseguitati cercarono rifugio in Svizzera, almeno in via temporanea. La questione dei profughi mostra con evidenza che la Svizzera non poteva sottrarsi agli sconvolgimenti in atto nel continente: i responsabili politici si ritrovarono ripetutamente confrontati a decisioni difficili, a volte contradditorie.

la cucina a Weggis, album famiglia Sacerdoti rifugiata in Svizzera

la cucina a Weggis, album famiglia Sacerdoti rifugiata in Svizzera

La “Home for Italian Jewish refugees”, era una scuola con annesso internato che aveva sede nell’albergo Baumen “deserto e desolato” di Weggis presso Lucerna.
Era il “Ginnasio Baumen”, una scuola sorta dal nulla per iniziativa di Raffaele Cantoni, probabilmente a fine estate del 1944.
Ebbe il sostegno finanziario dell’American Jewish Joint Distribution Committee di Zurigo per mezzo del Congresso Mondiale Ebraico e di Astorre Mayer, un industriale di Varese, che ne fu il direttore sino a quando tornò in Italia e venne sostituito da Bernardo Grosser.
Nel febbraio 1945 la scuola ospitava 55 allievi fra gli 8 e i 16 anni.
Giunse ad accogliere tra i 100 e i 150 ragazzi. Aveva classi che andavano dalle elementari alla maturità. Gli esami venivano sostenuti presso la scuola italiana di Zurigo. fra le insegnanti vi erano Vanda Sonnino e Rina Brunner che diverrà la moglie di Bernardo Grosser. Segretaria era Matilde Cassin.
Anche la famiglia Sacerdote il 3 febbraio del 1945 si trasferì a Weggis dove rimase fino al 13 luglio 1945, data del suo ritorno in Italia.

Cfr. “Per ricostruire e ricostruirsi. Astorre Mayer e la rinascita ebraica” a cura di Marco Paganoni, pag. 41;
cfr. Renata Broggini “La frontiera della speranza”, Mondadori, 1998, pagine 436-437;
cfr. l’articolo “Ricordo di Weggis” in Rassegna Mensile Israel del 1950, pag. 392-407
“The Central Archives for the History of the Jewish People Jerusalem” (CAHJP);
“Cincinnati American Jewish Congress Archives, in cui si conserva docuentazione, elenchi degli alunni e fotografie.

Dal libro “Gli ebrei fiorentini dall’emancipazione alla Shoà” di Massimo Longo Adorno: “Matilde Cassin nata nel 1921, a vent’anni era già attiva nell’assistenza ai profughi e nel movimento giovanile sionista fiorentino. Infaticabile collaboratrice di Raffaele Cantoni prima e di Nathan Cassuto poi. Rimase al suo fianco nei giorni terribili dell’occupazione tedesca.
Si rifugiò in Svizzera nell’estate del 1944. Fu attiva anche nell’organizzazione dei Collegi Weggis e di Selvino.
Fece la sua “Aliyà” nel 1947, raggiungendo in terra di Israele il fidanzato Max Varadi, con cui si unì in matrimonio.

Weggis in Svizzera

Weggis in Svizzera

Vedi anche: Elena Colonna, “Milena e i suoi fratelli: sette brevi storie, più altre quattro, per non dimenticare“, Rubbettino Editore, 2003, pp. 45-46

Tuttavia la Svizzera fu terra di salvezza e rifugio per molti ex prigionieri, soldati italiani, perseguitati e profughi fra cui numerosi ebrei. Vedi il riconoscimento a una sessantina di persone, i Giusti della Svizzera.

Dopo la liberazione del campo di concentramento di Buchenwald nell’aprile del 1945, la Svizzera accolse in giugno i suoi superstiti. Al posto di bambini giunsero dei giovani, che furono collocati nuovamente in un campo.
La vicenda è documentata da un cinegiornale elvetico del 1945, semisconosciuto, che riprende l’arrivo in Svizzera di alcuni ragazzi appena liberati proprio dal lager di Buchenwald.

Va ricordata l’opera del diplomatico svizzero Carl Lutz in Ungheria che con la sua “Casa di vetro” riuscì a salvare migliaia di ebrei dalla deportazione.

Film documentario su Carl Lutz prodotto dalla TSI – Televisione della Svizzera Italiana, con la regia di Enrico Pasotti e a cura di Aldo Sofi

Il museo della “Casa di vetro” o “Glass house” di Budapest

Silvana Calvo, “A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945”, edito da Zamorani, 2010

Gli ebrei e la rete confinaria italo-svizzera (di Michele Sarfatti)

Gli ebrei in Svizzera (di Jacopo Venerosi Pesciolini)


Mocak

Mocak il nuovo Museo di arte Contemporanea di Cracovia nell’ex fabbrica di Schindler

Il Museo “Fabbrica di Oskar Schindler” a Cracovia

In via Lipowa 4, troviamo la storica Fabbrica di Schindler. Dopo che nel 1990 – anno nel quale Steven Spielberg, regista del film “Schindler’s List”, ha reso immortale il nome di Oskar Schindler, il Giusto tra le Nazioni che ha salvato la vita di 1200 ebrei che lavoravano nella sua fabbrica – le autorità di Cracovia hanno deciso di allestire un museo, per ricordare e far conoscere il nome di questa grande persona.

Il Mocak: il nuovo Museo di arte Contemporanea di Cracovia nell’ex fabbrica di Schindler.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la fabbrica di Schindler diventò proprietà dello Stato e venne data in uso ad una compagnia di telecomunicazioni. Nel 2002, l’edificio fu abbandonato e acquistato dal Consiglio comunale, il quale, con aiuti del Fondo dell’Unione europea, nel 2005 lo rinnovò e lo trasformò in un museo. Da allora, il Museo “La fabbrica di Schindler” ospita una mostra chiamata “Cracovia: l’occupazione 1939-1945”, che narra la storia della città polacca in uno dei suoi periodi più tragici. Vi si racconta per cenni la politica del nazismo verso gli ebrei, dal 6 settembre 1939, data dell’invasione della città di Cracovia dalle truppe tedesche, fino al 1945.
Il museo fabbrica è uno dei momenti più toccanti di una visita a Cracovia. Non ci sono le scene del film Spielberg, ma all’interno è tutto molto più significativo e diretto: le carte d’identità, le voci registrate dei militari, le armi, le luci, sembra di essere calati nella realtà della guerra e della deportazione, una realtà molto triste.


A Tradate (Varese)
Tradate lapide a ricordo della presenza degli ebrei

Il Kibbutz di «Torav’Avoda» nella villa Mayer in via Palestrina ad Abbiate Guazzone, frazione di Tradate (Varese) e il Castello Stroppa di Tradate (noto anche come villa Sopranzi ed ex sede dei parà della Repubblica Sociale Italiana), tra la fine del 1945 e il marzo del 1947 accolsero circa 2.400 o forse 5 mila ebrei scampati alla morte nei lager.
Oggi resta solo una piccola lapide a ricordo della storia di salvezza avvenuta nel Comune di Tradate.

FRANCO GIANNANTONI – 02/06/2012

Complessivamente dall’agosto 1945 all’8 maggio 1948 furono trasferite clandestinamente in Palestina 77.589 persone.
Fra le 20.480 e le 23.500 partirono dall’Italia.
Circa 5 mila dal kibbutz di Tradate.
Due i punti di raccolta: il Castello Stroppa di Tradate, ex sede dei parà della Repubblica Sociale Italiana, e la villa Mayer di Abbiate Guazzone.

Jehuda Arazi, detto Alon, fu il comandante del campo. Due militari ebrei dell’organizzazione clandestina all’interno dell’esercito di Sua Maestà britannica, Meir Davidson di venticinque anni e David Salomon di ventun anni, si dedicarono a definire i particolari dei viaggi.

Abbiate Guazzone - Astorre Mayer e la famiglia ebrea degli Stern nel 1947-48Foto dal libro “Per ricostruire e ricostruirsi. Astorre Mayer e la rinascita ebraica tra Italia e Israele
a cura di Marco Paganoni, 2010, pp. 256,

Per il primo viaggio furono prescelte duecentocinquantadue persone fra le trecentocinquanta presenti rispettando il criterio della precedenza dell’arrivo a Tradate da Auschwitz, Mauthausen, Bergen-Belsen, Celmno, Theresienstadt, Madajnek, Dachau, ecc.

Partenza il 14 dicembre 1945, arrivo a Naharia in Palestina il giorno di Natale. Non era stato facile far sapere agli esclusi che sarebbero partiti con la prossima nave ma tutti ubbidirono. La sera i dieci automezzi con teloni di plastica, per riparare i viaggiatori, erano partiti per le coste liguri dove si erano imbarcati, ben attenti a non farsi scovare dalle varie polizie comprese quelle Alleate sempre in agguato.

La nave aveva attraccato lungo una banchina semidistrutta dai bombardamenti alleati, abbandonata all’estremità sinistra del porto di Genova. Solo una volta al largo, il nome della nave fu cancellato dalla poppa e dalle fiancate e ribattezzata “Anna Senesh”, vittima dello sterminio. L’imbarco successivo avvenne il 7 gennaio 1946. Novecento persone partite da Tradate, salite sulla nave “Rondine” a cui fu attribuito in memoria il nome di Enzo Sereni, assassinato a Dachau. Questa volta non fu un viaggio tranquillo perché la Raf mitragliò, sino a che una corazzata inglese dirottò la nave dei profughi a Caifa dove i passeggeri furono arrestati ed internati per diverso tempo nel campo di Atlit.

I viaggi non si erano mai interrotti. Il 19 giugno 1946 da Vado Ligure, poco distante da Savona, era salpata la “Vedgwood” con 1290 ebrei del kibbutz di Tradate caricati nella notte su trenta camion con quaranta persone a bordo per ciascuno. Inutile dire la estrema difficoltà delle trasferte, la fame, la sete, il freddo, la paura.

Ma chi erano gli ospiti, a quale Paese appartenevano, che età avevano, cosa avevano fatto nei lunghi mesi dell’attesa? Su un campione di 9.174 profughi secondo i conteggi dell’Opei (Organizzazione Profughi Ebrei in Italia) compresi in un rapporto inviato alla Commissione anglo-americana d’inchiesta per la Palestina, era risultato che il 3% aveva sino a sedici anni, il 57% tra diciassette e venticinque, il 37% fra ventisei e cinquanta, il 3% più di cinquanta. Il 71% era polacco, il 9% rumeno, l’8% cecoslovacco, il 5% ungherese, il 3% lituano, il 3% greco, slavo e di altra matrice. 7.008 ex deportati avevano dichiarato di aver perso tutta la loro famiglia; 5.394 su 7.008 erano polacchi.

A sostenere finanziariamente l’operazione, con un esborso di 17 milioni 580 mila lire nel 1946, 10 milioni 832 mila lire nel 1947, 13 milioni 952 mila lire nel 1948, erano stati la Allied Commission, l’Unrra (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) e il Joint (American Joint Distribution Commitee), un’ associazione di ebrei americani. Le spese di viaggio e di trasferta Tradate-Mar Ligure furono assolte dallo Hias (Hebrew Immigrant Aid Society) con sede a New York.

Ma un contributo enorme, forse decisivo venne dal contributo dei privati, primi fra tutti da Sally e Astorre Mayer. Sally (1875-1953), presidente delle Comunità Ebraiche Svizzere, e ricostruttore della dispersa Comunità Italiana ed il figlio Astorre (1906-1977), presidente della Federazione Sionistica Italiana, dedicarono tutto sé stessi in quel tempo drammatico alla solidarietà dei fratelli indigenti.

La loro villa di Abbiate Guazzone divenne la casa di tutti. Il kibbutz offrì a quella gente l’occasione per poter rinascere. Non si verificò nessun problema di ordine pubblico malgrado l’affollamento. L’accoglienza della popolazione tradatese fu calorosa. Si parlava in uno stentato italiano malgrado la comunità fosse un incrocio di diversi idiomi, una Babele di lingue, dall’yiddish, all’ebraico, al rumeno, al polacco, allo slavo, al russo. L’aspirazione era conoscere comunque l’ebraico per essere in grado, una volta raggiunta la Palestina, di sapersi gestire. Ci furono corsi di lingua. Molti i matrimoni, un centinaio le nascite all’Ospedale Civile. Il cibo veniva acquistato nei negozi cittadini. Qualche problema era sorto per il “taglio” della carne dal macellaio Bianchi di Abbiate, aiutato successivamente da un macellaio kasher venuto da Milano.

Tradate possa della lpaide

La permanenza ad Abbiate e a Tradate era dipesa dalla disponibilità delle navi. Qualcuno aveva trovato nel frattempo lavoro impiegatizio a Varese e a Milano, altri si erano addestrati nel parco Mayer a dissodare la terra, compito fondamentale una volta in Patria. I bambini d’estate erano stati mandati al Brinzio a respirare l’aria buona.

Aveva scritto anni fa Alberto Gagliardo in una pregevole ricerca che il lavoro della terra era diventato fra i reduci ambitissimo: “I terreni della famiglia Mayer erano diventati un vero e proprio kibbutz che venne chiamato “Torav’ Avoda” dalle parole ebraiche Torah (legge) e V’Avoda (lavoro). Un’attività che forniva prodotti vegetali e animali che contribuivano sensibilmente ad sostentamento di tutta la comunità”.

A ricordo della loro permanenza a Tradate e ad Abbiate Guazzone i profughi ebrei (tornati in delegazione in visita nel 1996) hanno voluto murare nella Villa Mayer, ormai cadente, una lapide con un’iscrizione bilingue: “In memoria di sei miloni di ebrei vittime del barbaro tedesco negli anni 1939-1945 il Kibuz Torav’ Avoda di Abbiate Guazzone questa lapide pose”.

Il ricordo non muore. Vivono intense le voci dei “sommersi e salvati”.

Sara Kazman, da Haifa, ha scritto: “Le rose viste in un giardino di Tradate furono per me il primo simbolo del ritorno alla vita dopo l’esperienza di Auschwitz”.

Ricorda Maria Modena Mayer, ex docente di letteratura ebraica alla “Statale” di Milano, nipote di Sally, figlia di Astorre, allora bimba di otto anni quando a Tradate c’era il kibbutz, il gran numero di nozze, la voglia di rinascere e di coltivare le proprie tradizioni, la speranza di una nuova vita, il desiderio di dissodare la terra con l’aiuto dei contadini del posto. Sposarsi era diventato il passaporto migliore per il prossimo domani nel calore della ritrovata famiglia.

Vedi anche l’Archivio del Corriere della Sera


Gli ebrei nel campo profughi di Grugliasco (1945-1949)

Sara Vinçon, “Vite in transito. Gli ebrei nel campo profughi di Grugliasco (1945-1949)”,  edito da Zamorani, 2009

Fabrizio Lelli, “Profughi ebrei nei campi di transito del Salento”

Stefania Pirani, L’haksharà di Fano e la scuola di pesca per profughi ebrei

Il campo di concentramento di Colfiorito

“Dall’internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito”, a cura di  Lucchi O., Editoriale Umbra, 2004


In Danimarca ci fu il salvataggio di 7-8 mila ebrei per l’opposizione di un popolo intero e del giovane ufficiale delle SS “Werner Best” che fecce il doppio gioco.

Gilleleje

Come a Gilleleje, villaggio di pescatori all’estremo nord dello stretto di Øresund.
Millesettecento anime che da un giorno all’altro si trovano ad accogliere – a nascondere, a scaldare, a nutrire, infine a imbarcare – diverse centinaia di ebrei sconosciuti, danesi o stranieri, uomini donne vecchi bambini.
Vedere il libro di Bo Lidegaard, Il popolo che disse no. La storia mai raccontata di come una nazione sfidò Hitler e salvò i suoi compatrioti ebrei, traduzione di Giuseppe Maugeri, Garzanti, Milano.
Cfr l’articolo di Sergio Luzzatto, La Resistenza della Danimarca, Il Sole 24 Ore, 12-01-2014


The Jewish Museum of Thessaloniki

The Jewish Museum of Thessaloniki

Salonicco nel 1941 era una città occupata dalle truppe naziste ed ospitava la più grande comunità di ebrei sefarditi al mondo, oltre 50 mila, forse 56 mila persone.
In tutta la Grecia vivevano poco piu’ di 77 mila ebrei. Salonicco era la più grande Comunità Ebraica d’Europa e vantava il titolo di Gerusalemme dei Balcani.
Salonicco fu ridotta al silenzio dai tedeschi che, entrati in città il 9 aprile del 1941, chiusero i giornali, svaligiarono archivi e biblioteche e demoliroono 14 delle 32 sinagoghe. Soltanto 1.950 scamparono all’olocausto.
Un museo a Salonicco custodisce la memoria di un così tragico passato, per ricordare la scomparsa di un’intera comunità.
Poi c’è un monumento di ferro con una targa che dice: «Dedicato dal popolo greco alla memoria dei 50 mila ebrei-greci di Salonicco deportati dalla loro città natale dalle forze di occupazione naziste nella primavera del 1943 e sterminati nelle camere a gas dei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau».

Guelfo Zamobini nel febbraio del 1942 è console italiano proprio a Salonicco nella zona greca occupata dai tedeschi.
Per alcuni mesi il console riesce ad evitare che gli alleati trattino gli ebrei della città come nei mesi precedenti avevano trattato gli ebrei polacchi e ucraini.
Ma agli inizi del 1943 è costretto a limitarsi alla protezione degli ebrei italiani, dopo che Eichmann ha mandato il suo vicario ad Atene per la deportazione della comunità di Salonicco. Zamboni organizza una tradotta che parte da Salonicco nella notte del 15 luglio, consentendo la fuga degli ebrei italiani verso Atene. E fa carte false – letteralmente – affinché sul treno della salvezza salgano anche varie decine di ebrei che italiani non erano affatto, ma a cui il console aveva riconosciuto la cittadinanza con il pretesto di chissà quali legami familiari. Per strapparli alla deportazione, Zamboni scrive numerosissimi telegrammi al Ministero degli Esteri, sveglia nel pieno della notte il capo della rappresentanza italiana e riesce a procurare documenti di identità falsi a 280 ebrei per raggiungere Atene, situata nella zona d’occupazione italiana, permettendo loro di sfuggire al controllo tedesco e quindi alla deportazione. A guerra finita, gli ebrei greci erano rimasti 10 mila.
Guelfo Zamboni muore nel 1994 a Roma.
L’operato di Zamboni viene descritto da un suo collaboratore, Lucillo Merci, in un diario che è stato ripreso da Daniel Carpi, storico israeliano di origini italiane.
La vicenda è raccontatata anche nel libro “Gli ebrei italiani di Salonicco-1943” curato da Antonio Ferrari, inviato del Corriere della Sera, Alessandra Coppola, docente di storia all’Universita’ di Padova, e Jannis Crisafis, giornalista del quotidiano Kathimerini e pubblicato a cura dell’ambasciata d’Italia ad Atene.


A Londra il museo dedicato all’Olocausato e alla Shoah allestito presso l’Imperial War Museum

Imperial War Museum, Lambeth Road, London SE1 6HZ


Sciesopoli (14-06-2013)
La colonia Sceisopoli di Selvino (Bergamo) in via Cardo 31

Una rassegna bibliogrfica: http://www.jewishgen.org/InfoFiles/Italy/italian.htm

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