Dopo la Liberazione, a Sciesopoli Selvino ospitalità e accoglienza per molti bambini ebrei sopravvissuti alla Shoah

Scritto da Claudia Piccinelli, postato in Donne Shoah – Resistenza – Guerra

Un’altra bella pagina di memoria e solidarietà.

A poca distanza da Bergamo, su un altopiano spartiacque tra la val Seriana e la val Brembana, sorge Selvino con la sua  “Sciesopoli”. Oggi, è una vecchia costruzione in stato di abbandono. Una cancellata di ferro chiusa,  l’ imponente gradinata, la facciata scrostata, le finestrelle con i vetri rotti  e uno spiazzo ricoperto da erba e cespugli incolti.

Sciesopoli, in ricordo di Antonio Sciesa, calzolaio e patriota milanese fucilato dagli Austriaci al Castello Sforzesco nel 1851, a partire dal 1927 diventa una colonia per i figli dell’élite fascista milanese. Nella piccola caserma per i soldati di domani, si respira aria di guerra. Ma a partire dal 1945, dopo la Liberazione, le sorti si capovolgono, e Sciesopoli diventa  luogo di accoglienza. Oltre 800 bambini ebrei orfani, scampati ai campi di lavoro e di concentramento, alle marce della morte verso Mauthausen, Gusen, Dachau, Auschwitz, Bergen Belsen, lì  compiono   una ri-nascita.

Profughi ebrei a Sciesopoli

Ospitalità e accoglienza

Sarà Luigi Gorini, membro attivo del Comitato di Liberazione Nazionale nell’ambito della Resistenza, a requisire la colonia per ospitare i bambini. La popolazione di Selvino, dal 1945 al 1948, aiuterà l’opera di accoglienza delle organizzazioni ebraiche italiane e internazionali, insieme alle organizzazioni partigiane e ai militari ebrei che avevano combattuto per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. All’inizio i bambini sono solo una ventina. Una babele di lingue: polacco, yiddish, ungherese, romeno, italiano. Il numero aumenta di giorno in giorno. Fetter Moishe, zio Moishe -come amano chiamarlo-, autista della compagnia, porta bambini in piccoli gruppi da Milano, dai campi profughi di Modena, Nonantola, Magenta. Moshe Ze’iri, direttore e responsabile, Teddy Beeri,  Eugenia Cohen li accolgono uno a uno sulla porta, annotano i loro dati in ufficio, li accompagnano ai dormitori vicino al proprio letto,  all’armadietto personale, e indicano: “Questa sarà la tua casa d’ora in poi”.

Il tempo della cura e del prendersi cura

La pelle brucia, dopo aver ripulito i capelli dai pidocchi con il petrolio, molto irritante. La dottoressa Pessia Kissin cura le scottature. Parecchi soffrono di gravi forme di foruncolosi. Vengono curati negli ospedali di Bergamo o di Milano. Gli ammalati di tubercolosi, a Roma. In casa, in cortile, nel boschetto i bambini che parlavano la stessa lingua cercano di stare uniti in gruppi .  Le ragazze di tredici, quattordici e quindici anni si prendono cura dei piccoli. Siedono con loro a tavola, li lavano, li mettono a dormire,  li coccolano. Fa freddo nella casa, solo una copertina ciascuno. Le bambine dormono insieme per riscaldarsi, e  stendono cappotti sulle coperte dei  più piccini.

Il tempo dei pasti : la condivisone a tavola e il furto del pane

Il tempo è scandito dalla campanella dei pasti.  Mattino, mezzogiorno, sera. A turno, servono a tavola. Nella sala da pranzo, intorno a lunghi tavoli  si aspetta in silenzio.  Non c’è molto: minestra, zuppa d’avena, piccole porzioni di carne in scatola, margarina, marmellata, un poco di frutta e verdura fresca portata dal villaggio. Solo un panino ogni pasto. Ma tutto viene condiviso.  Nei campi di concentramento e di lavoro, e lungo le marce della morte, il pane era la vita.  A Selvino, i bambini rubano due o tre pani dalla tavola o dalla cucina e li nascondono, per sentirsi sicuri.

 Il tempo del lavoro : prendersi cura della casa 

Dopo la colazione,  si dividono in gruppi di lavoro e di studio. Chi lavora al mattino studia al pomeriggio. Si dedicano alla pulizia della cucina, dei bagni. Fanno il bucato. Eseguono riparazioni e cucinano. Si prendono cura del giardino e delle piante. Montano la guardia di notte.

Il tempo del gioco: tempo per sè

Nel tardo pomeriggio,  libertà per  i giochi in cortile, nel parco, nel campo di calcio, al tavolo da ping-pong, alle scacchiere.  Dopo cena, tutti  nella sala del teatro tra canti, danze, recita di scenette umoristiche per mitigare il dolore delle ferite. Gioia e tristezza si mescolano. E quando arriva lo Shabbat, la casa si anima di festa.

Il tempo dello studio:  cura di sé e  cura degli altri

Tzippora Hegger, un’insegnante mandata a Selvino, procura  mozziconi di matita. Visitatori portano quaderni.  Màlkale, tredici anni, di famiglia ortodossa, parla e insegna l’ebraico ai bambini più piccoli affidati alle sue cure. A una diciassettenne, proveniente da Auschwitz e dai campi di lavoro della bassa Slesia, dicono: “ Dài l’esempio”. Allora comincia a  raccontare  le storie della Bibbia che ricordava dalla sua infanzia. Avraham, diciotto anni, ha un bruciante desiderio: studiare!  Arie Sola, trentacinquenne, un’esperienza di insegnamento nelle scuole ebraiche in Cecoslovacchia e in Ungheria, rende piacevoli gli studi ai bambini assetati di sapere. Scriverà  a mano alcuni manuali. Così a Sciesopoli si iniziano con regolarità gli studi di lingua, letteratura, aritmetica, storia del popolo ebraico, la geografia della Palestina. Tutti  animati da un profondo desiderio di ricostruire l’ identità personale e del proprio popolo.

Ascolto, empatia, conforto 

Incomprensioni e risentimento per la rigida disciplina, come in Zeev e Adam: “Cosa volete da noi? Che puliamo la sala da pranzo? Lavoro, ancora lavoro anche qui? ”. Ribellioni contro la regola di alzarsi così presto al mattino,  il razionamento del cibo, il divieto di allontanarsi dalla casa. A bilanciare la fermezza di Moshe Ze’iri, la comprensione della dottoressa Pessia Kissin:  dopo quelle sofferenze, hanno diritto a tutto. E con un piccolo sforzo, anche le razioni di cibo possono essere aumentate.  L’arrivo a Selvino dell’autista è ancora un momento di grande entusiasmo. Gli corrono incontro.  La sera, seduto in fondo al lettino, al buio,  un bambino può confidarsi. Nel conforto, zio Moishe trasmette loro il suo ottimismo.

Si riaccende la speranza

Neanche due mesi, e già nuove energie prorompono. Il primo numero del giornalino “Nivenu”, “La nostra parola”, condivide la speranza di tutti: l’immigrazione in Palestina. Selvino è solo una tappa intermedia. E si legge: “estirpare l’odio, vivere in comunanza non solo di proprietà, ma anche di ideali”.

Le prime partenze

Molto scarse le probabilità di immigrare legalmente.  Così dalla sede di via Unione, 5 a Milano iniziano le attività clandestine per l’immigrazione illegale.  Il 31 dicembre 1945, l’annuncio della prima partenza. Dopo quattro giorni di addestramento nella fattoria di Magenta, un convoglio di quaranta camion  con nascosti 900 profughi e fra questi i ragazzi di Selvino, si dirigerà fino al piccolo porto di Vado Ligure, dove li attende  la “Enzo Sereni”. Il 17 gennaio, la nave verrà intercettata. Costretta a dirottare verso il porto di Haifa, in seguito sarà  inviata al campo di prigionia di Atlit. Dopo il rilascio, nel Kibbuz Chanita si costituirà il primo gruppo proveniente da Sciesopoli.

Nuovi incontri

Nel 1983, una sessantina  di loro  ritorna a Selvino.  Tra questi, c’è Miriam Bisk, figlia di sopravvissuti della Shoah a Lodz in Polonia, poi operatori di Sciesopoli – la Casa dei Bambini di Selvino. Saranno incarcerati  a Cipro perché intercettati dal governo mandatario inglese durante l’emigrazione clandestina. Miriam nascerà lì. Nel suo recente viaggio di ricerca delle origini , in una lettera indirizzata a Papa Francesco scrive : “Preservare la memoria di Sciesopoli, per onorare i cittadini di Selvino, per raccontare la storia dei bambini ebrei sopravvissuti che in questo luogo sacro hanno conquistato la loro infanzia rubata, una “nuova famiglia” e soprattutto la speranza”. Dagli Stati Uniti, dove vive, ritornerà a Sciesopoli, insieme  a tanti altri -al tempo bambini della colonia- accompagnati dai  figli. A settembre, li attende un altro incontro con la comunità di Selvino, organizzato con il comitato promotore della petizione “Perché duri la memoria”.

Claudia Piccinelli

Ahoron Megged, Il viaggio verso la Terra Promessa. La storia dei bambini di Selvino, Milano, Mazzotta, 1997

vedi link: www.noidonne.org

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